Dentro essa si performa,
In corsie essa e' divisa,
Di sudore invisibile intrisa.
Donne e uomini in costume,
Gareggiano veloci come piume,
Una cuffia colorata portan in testa,
Ci si allena anche il di' di festa.
L'istruttore sbraita a bordo vasca,
Operoso mai con le mani in tasca,
Da' preziose e veloci indicazioni,
Utili a vincere le competizioni.
Apprezzo tanto queste persone,
Alla ricerca di una gran prestazione,
Ma preferisco di gran lungo il mare,
Dove con i pesci si può nuotare.
Per vincer questo tempo avaro,
dolce amore ti vedo primavera,
tuoi i colori di cristalli agli occhi,
mio il rosso di petali a cornice
per un viso che mi rassicura.
Profumi di ricordi da costruire,
delle tue mani godono, i fiori,
in quell'attesa d'essere irrorati
da un bacio che darà il mare,
depurato di burrasca e sale.
occhio lucido
sguardo da sicario
in questo malato arcipelago
di satiri e donnine leggere
si tira avanti sul filo delle percentuali
tipico di persone
piccole
col cervello a basso costo
e nel frattempo che si aspetta di morire
ti tocca annusare facce
e corpi
dell'odore
dell'erba
appena tagliata
e la bocca, oscena cicatrice
si allarga in un ohoo..ohoo..di stupore
e tu arrivi persino ad invidiare
la smorfia
di un cane
che caga nel tuo giardino.
Quando la notte s'immerge nel giorno
ma il dì titubante non strappa il velo,
comincia discesa senza ritorno:
cedimento illogico a bruciapelo.
Pupille vuote non vedon colore,
mani sudate e respiro di sabbia
tra falsi appigli, rimbomba il terrore.
Il cuore impazzisce nella sua gabbia.
Non pensi ma senti: tutto è perduto!
Paralizzato, schiacciato da un peso,
nodo alla gola, sospiro taciuto.
Par di sentirti da morte ormai steso
mentre il respiro ritorna compiuto,
tra lacrime, vivi, lento e sospeso.
Febbraio è un morso di allegria,
un uragano di mille colori
dipinti sul petto di Arlecchino,
è il battito a festa del Carnevale
che gioca coi sogni di bambino.
Spensierato è il dì di festa
e fra comete di coriandoli
abbandonate per le strade
ed il dolce sapore delle frappe
sfilano le maschere italiane:
che nessuno si arrabbi
se a Carnevale ogni scherzo vale!
tubatura sacra che accoglie il tuo fiume giallo:
il lavello è un calice, l’urina un’offerta.
Non c’è nome per questo rito, solo il sibilo
dell’acqua che cancella l’odore di ribellione.
Il soffitto è un reticolato di travi,
legni antichi che contano le ore col ticchettio
delle termiti. Ti sdrai, numeri i nodi
come stazioni di una via crucis domestica:
la noia è un’ostia che si scioglie in bocca.
Nel focolare, le braci diventano geroglifici.
Ogni scintilla morente scrive una parabola
sul muro: il fuoco è solo cenere che sogna.
Sputi nel camino, e il fumo disegna
un dio con le tue stesse rughe.
Ora tutto è icona, anche il gesto più vile.
Persino il silenzio ha un suo inno distorto,
e il tempo -qui- è un gatto che si morde la coda.
M'illudo che sia prosopagnosia
l’appropinquarsi di senil demenza,
non è soltanto ricordar chi sia
colui di cui mi ritrovo in presenza
o ricordare d’un attore il nome
né qual dottore mi fa consulenza.
Spesso mi fermo tra perché e percome
a metà strada d’ignoto percorso
mentre un dolore attanaglia l’addome
e non c’è un cesso cui fare ricorso
mentre mi guardo intorno smarrito
senza trovare il filo del discorso.
Anche scrivendo blocco spesso il dito
non ricordando qual era la rima
per cui nel verso quel lemma ho inserito,
eppure in mente era un attimo prima
e aveva senso, mi pareva bella;
ferisce invece forte l’autostima
fuggendo il senso su remota stella.
Nemmen mi viene quale sia toponimo
in cui mi muovo senza più favella,
quasi mi scordo pure lo pseudonimo
immaginando il mio neurone tronco,
essennecì¹ di scioperante acronimo
non riconosce mentre avanzo cionco
il familiare ma ignoto paesaggio.
Colpo di tosse a liberare un bronco
mentre memoria tenta l’allunaggio
ma impatta male andando fuori strada,
nelle sinapsi è sballato il voltaggio.
Passerà presto o resterò fregato?
Dei pantaloni consumata è stoffa,
risulta vuoto questo portafoglio
con l’andatura quanto meno goffa
in un sentiero il cui senso non sbroglio,
risuona in testa una parola: “ioffa”,
d’un tratto vedo sirena su scoglio
ma è solo frutto di mente confusa
mentre mi siedo e senz’alcun orgoglio
rimembrar tento com’è che si usa
quella funzione, la “salva con nome”
che serve prima che l’app venga chiusa.
Ma il vento smuove verdeggianti chiome
e la mia mente torna alla sirena
e ai suoi capelli e al semplice prenome
che associo mentre mi volta la schiena
stando a distanza dai respiri miei
pur dominando tutta la mia scena.
Sì, mi ricordo quale nome ha lei.
¹: S.N.C. è l’acronimo di “sistema nervoso centrale”, di cui fa parte il cervello che mi indice scioperi selvaggi senza preavviso sindacale.
19/02/2025
Bagnati delle teleologie
Il fine ultimo di un sasso che però non è bagnato
Il finale di un film che però non lascia senza fiato
Menomale che alle fine sia così
Altrimenti non sarei qui
Tra poco la serata fatta di perline
Indossate dagli anni fa
Comodi prati fioriti
senza il determinismo delle mine
Grezzo ricatto
Diamanti della pubblicità
Dopo aver fatto niente tiro il fiato
s'un divano che non è neanche persiano
Dopo quel fare un po' sgrammaticato
Filologia di un professore arcigno e serio
Di certo troppo serio e per questo dimenticato
nella tuttologia delle TV
Tra poco la serata finirà all'aperto
come per animali bui dentro
Come per chi d'estate rientra per il freddo
Tra poco sceglierai all'ultimo secondo
un altro binario
e per questo sarà straordinario
Tra poco lo faremo e sarà un successo
Ne parleranno
Non adesso
Anzi mai
I progressisti lo chiameranno Progresso
ma qualcuno che lo era davvero
tremerà confuso e contento
una risposta non l'avrà mai
Parlar d’amore in questi tempi vaghi
un po’ somiglia all’addentare pane
quand’è che fame dura troppo a lungo
o all’immergersi nel mare amico
per riveder fondali conosciuti
e nel carniere mettere colori.
Il Sommo, che di vero amore scrisse
al punto da scalare il Paradiso,
starà guardando ancora come fiere
lussuria superbia e cupidigia
ammaestrate da anime malsane
alquanto use a fomentar contese.
Dell’Alighieri resta la lezione
d’aver voluto imprimere sul cuore
il volto indegradabile del bello;
di Beatrice, mai con man toccato
per il timore di contaminare
la grazia che innamorar lo fece,
e d’altri, in pace nel divino loco
là dove il Cielo muta nome in luce
di cui goder, se fossimo dei giusti.