Tre ottave di ottonari a rime alternate con versi pari piani e dispari tronchi.
L’orologio batte ancora,
manda sempre il suo tick tock,
giran ora com’allora
le lancette a suon di rock…
salta un battito talora
ma non cade in grave shock:
torna a battere un’altr’ora
della vita regge il clock¹…
Ma nessuno più l’ascolta
quindi a cosa servirà?
Gira ancora un’altra volta
la lancetta corta ma
luce sfugge disinvolta
ed il buio tornerà
sulla mia mente sconvolta
perché sono ancora qua…
Non dà senso di sollievo
ritrovarmi ancora qui
dove un tempo io facevo
sogni belli tutti i dì
e al mattino sorridevo
nel sentir chicchirichì
perché sempre m’illudevo
d’un venturo² colibrì³.
¹: scandisce i momenti che servono per continuare gestendone il ritmo più o meno giusto, possibilmente stabile;
²: futuro ma in arrivo;
³: colorato, scintillante, come tale uccello, e con un suono melodioso.
22/09/2024
la via fuori dai cardini
Mani che non hanno più casa,
mani che non hanno più abbracci,
un casco insanguinato
è tutto ciò che resta
degli uomini uccisi dal lavoro,
uomini senza diritti né tutele,
un cimitero di fabbriche
sporcate di dolore,
urla di nude ingiustizie
senza nessuna risposta,
uno strazio silenzioso
che ammala l’Italia d’orrore.
Il lavoro è diritto alla vita,
non un sudario di morte!
Sestina di decasillabi monorima.
La Poësia è fatta di versi,
non di ritorni a capo perversi;
è molto meglio in essa avvalersi
d'una punteggiatura, attenersi
a quelle pause e ritmi diversi
che i nostri umori rendono emersi¹.
¹: emersi = ben delineati, evidenti.
21/09/2024
momenti di vita
da sfoggiare insieme,
ballerò con te
sulla scia dei tuoi desideri
e ne farò preziosa casa
per vivere della tua felicità!
Ti parlerò d'amore,
tutte le volte
che ne avrai bisogno,
sarò il tuo magico mantello
per nasconderti
dalle fredde intemperie
che ti assaliranno
per abbatterti,
non avere paura
sarò la tua luce di pace.
Fidati del mio cuore
che forte e senza rinunce
batte per te.
Oh dolce angelo
dalla chiara pelle come latte
e scuri fili di seta
che come capelli
adornano il tuo dolce
roseo viso fanciullesco,
a volte triste e fragile
sotto la bugiarda luna.
Io ti amo d'amore vero
senza misura di tempo!
Oh dolce candido
profumato fiore d'estate,
non appassirai mai
nel giardino delle mie forti
e sicure braccia
perché ogni parola d'amore
che ti dedicherò,
sarà perla d'oro
per un dimante d'anima
come la tua,
a farti danzare
nel valzer della vita,
fino a toccare il paradiso
in ogni profondo respiro
che di me ti parlerà,
e a me ti legherà,
per parlarti d'amore
fino all'uscio della tua vita.
Due ottave di settenari anapestici (nel senso che gli accenti sono in 3ª e 6ª sillaba) a rime alternate.
D'improvviso un gran lampo
rischiarisce il mio cielo,
è caduto nel campo
per squarciare quel velo
nero nero in cui inciampo
ma mi prende un gran gelo:
oltre il velo non scampo
perché resta sfacelo.
Quel che m'è balenato
in attesa del tuono
sempre buio è restato
senza accenno a perdono:
un istante è durato
ma soltanto altro tono
di corvino evocato
che non offre condono.
21/09/2024
Scissi in due,
Oppressi dall’omologazione
Che con l’ombra della paura tutto oscura
Nasciamo in catene,
Viviamo in catene allontanandoci dalla vita vera,
Moriamo in catene senza compimento.
In questo grigio inverno
Schiacciati dal dominio
Volere ciò che non si vuole
Pare il fine della vita,
Più vivo
Più mi rendo conto che questo mondo è un grande inganno.
Con tanta malinconia
Sogno con voi
L’inizio di un nuovo viaggio.
A volte i sogni sanno parlare,
Dall’inconscio emergono i desideri sepolti nel cuore
Identificandoci con i pensieri che ci donano
E con le emozioni più forti e più belle
Germina nel nostro essere il vero tesoro,
Sbocciano i fiori nella mente
E la strada della gloria
Svelata a noi da noi stessi
Appare nello specchio.
Nel cerchio di potere
Ascoltando le mie emozioni
Con un canto di fiamme urlo
“voglio ciò che voglio”
Con Eris che sobbalza nel mio cuore
Il mio canto tagliente si estende fino al cielo
Raggiungendo le stelle
E si unisce al cosmo
Una sensazione di meraviglia mi invade.
Buongiorno a voi glorioso Dio e gloriosa Dea
Tutt’uno con voi
Auguro luce e beatitudine a tutti gli esseri
Ma per gioir della mia gioia
Darò ascolto a un saggio che diceva
“fa ciò che vuoi”
Mi trasformerò in ciò che sento con il cuore
Non in quello che il mondo vuole
Se la mia aura si tingerà d’oro
Il tempo me lo dirà.
Questi versi messi in luce
Non saranno graditi
Ai superbi oppressori.
Immagini di strane creature
e fantasie d’arcani accadimenti
che volano a lambir lidi sfuggenti,
vapori della mente a far pitture
mobili come son le nubi in cielo
che troverò al risveglio condensate
e in gocce di rugiada trasformate
in un virtuale mondo parallelo
sui pochi arbusti e poche tamerici
che fioriscono ancor nel mio giardino
ove inseguo un poetico destino
tentando sublimar mie cicatrici.
Questo torpor che ha il nuovo dì di fronte
ch’è non più sonno e veglia non ancora,
d’un pigro dio bifronte è la dimora
che guarda avanti in mïope orizzonte,
presbite indietro e sempre più sfuocato,
ch’onirica follia ora è svanita,
silente trombettier di nuova vita
dolente a far svanir quanto sognato.
Ma sembra un sortilegio dispettoso
che maschere già emerse dal profondo
commedianti d’un sogno sullo sfondo
svaniscano con fare misterioso
lasciando qualche sagoma sparuta
che solo un antropofago poeta
vorrebbe catturar, preda segreta
sua mensa a rifornir languente o muta.
Poi ci sono quei periodi di follie
e monasteri candidi rabberciano luci
su vetrate di spaccati
- arcobaleni -
mai affilati o arrotondati
come i miei pugni
chiusi tra i ricoveri
ed i silenzi incipienti
macchie oscure dei miei ricordi
di morte che sopravviene - improvvisa -
come il biancore del sole
quando lo fissi e t’acceca
Poi la quiete
Ed un senso di glicini
Il profumo di discordanze semplici
e note
di viola e giallo mimosa
Sono io così
Un fiore andato
All’apice del tempo
Ma mai dimenticato
ai gabbiani che vanno
e vengono
ma non tornano
lontananti sogni
e rimango la sera
fisso alle barche
sul rientro
quando non ho
d’una vita
un solo porto
ancora
oceano negli occhi
la notte
che stringo
una donna
tra le braccia
crisalide vuota
d’un’ombra
al balcone
sogna ragazzo
sogna
m’invita
già salgo
a scardinare
finestre chiuse
Sonetto, endecasillabi canonici a maiore e a minore, quartine a rime incrociate e terzine a rime alternate.
Affetto quei tre ètti nel mio petto,
li tolgo ché non servono per niente
se non per dar dolore ‘sì latente
come se in carne viva fosse aghetto.
L’affetto tanto senz’alcun affetto
del sangue pompa a vuoto la corrente
ma resto fermo qui, muto, silente
solo a sudare a vuoto nel mio letto.
Quando alla fine il cuore avrò affettato
lo donerò per cibo alla mia gatta…
ma che disdetta: anch’ella m’ha lasciato!
Per fegatini e cuori andava matta
ma la vecchietta non ha più campato:
sessantatré già mesi che non gratta.
21/09/2024