appena l’ali dall’uovo sgusciate
volea quell’anatroccolo volare
ma capì d'aver ali inadeguate.
“Ch’è ’sta storia?” chiese all’anatra mamma
“Ali farlocche? io voglio ali vere!
Io di volare ho poëtica fiamma
con sul sedere penne timoniere.
“Accontentati anatroccolo mio”,
disse mamm’anatra, con tono ironico,
“so del volar l’intenso tuo desìo
qual ‘Va pensier’ del coro filarmonico,
ma a questo sogno devi dire addio
ché il tuo destin sarà più malinconico:
beccar, cacar, cantare il tuo pio pio
tra ragli abbai muggiti in polifonico”.
Sia chiaro, l’anatroccolo son io.
Non volo e son pozzanghere i miei calici
ove libo elevando un pigolio
tra rose spinose e piangenti salici.
Molto tempo passerà prima di metabolizzare la sconfitta,
troppe volte rimarrò in silenzio implodendo la mia rabbia,
schegge di depressione attraverseranno la mia mente,
pulsioni di rivincita faranno battere velocemente il mio cuore.
Serenamente ricorderò questo lampo di vita
con l’ironia di chi ha già vissuto,
di chi accetta le delusioni con saggia tranquillità,
anche se un impeto mi scalzerà dalla sedia.
Traballanti emozioni di chi tentò di migliorare il mondo,
umilmente prono per servire chi non volle essere servito,
spavaldamente orgoglioso dei propri ideali,
consapevole di essere solo un uomo normale.
All’ombra del padre giace
una cassa
Pareti velluto scivolano
quando passa
lei
Un tumore è la sintesi di tutta una vita
ma io sono vestita
a festa e lui è un viado
(Bimba, non lo sai?)
Il suo membro è un serpente,
ho pensieri sconci
Poi tutto sgrana
tra angoli ciechi nel campo focale
e cose essiccate
E mi lascia a metà.
mio caro soffio d'amore
sulla cima della mia felicità.
Non c'è posto più bello
dove riposare serena e protetta,
se non nelle tue forti braccia.
Abbracciami come se fosse
l'ultima volta, per poi donarci
alle fiamme del nostro desiderio.
Ogni preoccupazione sfuma
nel tuo sguardo silenzioso,
mentre racconta la forza che mi dai.
Abbracciami nel tuo perdono
quando la rabbia sfoglia i giorni,
dove le sue parole scritte sono dure.
Lasciami, ad occhi chiusi e sognanti,
avvicinare al tuo cuore che batte
l'amore giurato che ci lega per la vita.
Abbracciami, amore mio,
lascia che sia origine senza fine
questo sentimento chiamato amore.
Pregi e difetti come chiunque
altro figlio di questo mondo.
Io mi organizzo tondo, non voglio
essere un facile quadro appeso.
L’amore a tenere banco
dal credo dipendente
che non insegue
farfalle, né falene
le lascia libere di volare
alla ricerca
della propria perla
e come api impollinare
del loro miele, l'amaro rimasto.
Ché siamo fiori
ma senza sbocciare
mai coloreremo
questo nostro mondo.
sto' ccà a mmane ggiunte a cercà perdono.
Si tiene tiempo, te prego damme udienza,
te parlo a nnomme mio...e ati pperzone.
Pur'io so' stanca 'e tutta chesta insolenza
'e chi nun perde maje ll'occasione...
'e fa' male...e ppretenne ll'abbondanza,
pecché manc'o ssupierchio lle va bbuono.
Tu c'hê rialato ll'azzurro bbello d' 'o mare
nnuje îmmo tignut'e russo ll'acqua chiara.
C'hê dat'a vocca pe ce fa assapur'o mmiele
e nnuje stammo sempe a mmasticà fiele.
C'hê dat'e rrecchie pe fa' sentere ll'allucche
'e chi sente dulore, 'e chi sta suffrenno.
C'hê dato 'e mmane p'accarezzà chi soffre,
nuje damme pacchere a cchi sta patenno.
Cu 'a vocca jammo spisso jastemmanno
e qquanta vote nce sputammo nfaccia.
Ce guardammo comm'a ttanta nemice,
mmece e nce regnere 'e vase e abbracce.
'O mmale ca nterra stammo patenno,
sta facendo troppe, tanta muorte.
'A tantu tiempo giuvene, viecchie, criature,
cercano 'e nzerrà 'o mmale 'int'a na morza.
Aiutece, si può, miettece 'a mana toja,
pecché 'e luttà ce ammanca 'a forza.
I' stongo ccà a parlà cu tte llà ncoppa,
ma songo sulo na lucella ncopp'â terra.
Chi songh'io a ccunfronto a tte, so' nniente:
so' nu sciore piccerenillo 'int'a na serra.
Ma tu...ca vuò bbene a ttutte 'e figlie,
cumpatisce chi nun sape chello che ffa.
Te mploro pe mme e ppe tutte quante nuje
stamme a ssentere, stongo ccà a tte prià.
Madonna bella 'stu manto tujo mmaculato,
stiennelo comm'a nu velo ncopp'ê peccate.
Prutiegge chiunque tene 'o core affaticato,
si può perdona 'sti figlie tuoje scapestrate.
a commentare il cielo
che si ghiaccia nelle sue lacrime
e cerca il sibilo sommesso
delle onde del mare.
Cosa resta dell'allerta
se non la paura di vedersi innalzare
dall' impeto del vento freddoloso.
Uno sconforto di chi ha perso il calore
e lo ricerca spasmodicamente
in ogni anfratto a luci spente.
Uno sforzo immane
che ci fa ricordare
quanto fragile ma stupenda
sia la nostra vita anche quando è spenta.
che m’avvolgi,
dama velata,
compagna fedele,
al mio fianco
mai t’assopisci,
non per errore,
non per benevolenza.
Nelle tue braccia
ogni gioia si spegne,
e d’ombra il cuore si veste,
spezzando il ritmo
della vita che corre,
sotto la luna,
pallida e cortese.
Il mondo si copre
d’un manto stellato,
il vento bisbiglia
lingue straniere.
Pian piano si spengono
le luci delle case,
restano i lampioni,
solitari custodi.
Tutto è così dolente
nel cuore solo.
Che io sia in un castello
di antichi splendori,
o in una nave a solcare
oceani senza fine,
o alla scoperta della foresta
oscura e misteriosa,
il tuo sussurro,
lieve e inesorabile,
sempre riecheggia.
Nessun banchetto,
né risate felici,
né ardite avventure
possono dissolvere
la tua cruda pece.
Oh, mai mi abbandoni,
solitudine.
L’amore mi ha lasciato
a disseccarmi,
e tu, leggiadra,
mi avvolgi e mi attacchi.
Ora soltanto il passo
rimbomba,
tra queste mura
di pietra infranta.
Dama delle lacrime,
in te trovo un’eco
d’un sapore d’antico,
una profonda lezione,
un monito silente.
Il vuoto m’insegna
un oro d’antico valore,
l’essenza d’essere,
l’umile ragione.
Perché se il nulla
regna sovrano,
l’anima libera
cerca il divino,
per ritrovare
vita che risorge.
Nel silenzio,
l’eterno lontano
può tornare a parlare,
con un accento
d’amore e di speranza.
Endecasillabi in rime senza schema precostituito
Tutto iniziò su liceale scena
quando un brivido scosse la mia schiena
udendo, da chitarra accompagnato,
di Garcia Lorca “Quando morirò”
su disco di vinile registrato (*)
quando d’esser sepolto domandò
con la chitarra sua sotto l’arena.
Assai tenue di morte era il sentore
e dell’arena avevo idea bizzarra,
ma attratto da un poetico languore
decisi di acquistare una chitarra.
Così qual menestrello di me stesso
la tastiera decisi d’imparare
e d’altrui testi fui cantor dimesso,
ma difficil non era accarezzare
nei tempi che la sorte mi donò,
tempi austeri in cui poco era concesso,
anime amiche attorno ai miei falò
e attizzare recondito quel fuoco
d’amor che ancor sembrava arcano gioco,
che nel canto cercava seduzioni
e incontrava talor malinconia,
entrambe a dar univoche emozioni,
per poi dissolver tutto in allegria.
Era Faber al tempo il primattore
moderno cantastorie sognatore
romantico cantor dissacratore
protagonista del mio repertorio,
icona di stagion privilegiata
che formidabil fu laboratorio
d’allora detta “musica impegnata”.
Dalla chitarra poi mi distaccai
via via che gioventù fu superata,
poi preso d’altre cure la lasciai
nella mia nuova casa accantonata
in compagnia d’un vecchio mandolino
comprato in un rionale mercatino,
perché non si sentisse abbandonata,
ch’io non volevo più toccar sue corde
ch’oggi ancor il suonar dentro mi morde.
Anch’io la vorrei, già come il poeta
sotto l’arena mia, l’ultima meta,
silente testimone di quegli anni
quand’erano più fragili gli affanni,
arena ch’ora so cosa vuol dire,
ora che mi avvicino al mio “Dies irae”.
(*): Alcune interpretazioni musicate (1-2 minuti) sono ascoltabili su YouTube.
Illuminanti desideri scompongono la realtà,
misti di appassionati ardori e rinfrancanti sensazioni
gettano inesorabilmente la vita quotidiana nella spazzatura.
Inafferrabili, sospirati, balbuzienti.
Utopie totalitarie, spavalde e macchinose,
rivisitate egregiamente da esseri inconsistenti
degni di essere chiamati eversivi della ragione.
Impazienti, trascinanti, balbuzienti.
Spazi enormi, distese sterminate in poche parole,
emozioni secolari, sensazioni immense in attimi di pensiero,
logiche trascinate drasticamente in immensi disastri senza senso,
collocate in ciniche metamorfosi.
Magnetici impulsi, attimi impalpabili,
meravigliosamente attaccati al paradosso,
e l'eco dei canti
scivola via
sotto il peso
della routine che torna
lasciando solo
il profumo di resina
I regali scartati
giacciono in un angolo
come foglie secche nella brina
mentre nei cuori
una dolce malinconia
si posa
su ogni viso
I colori svaniscono
e le ombre galleggiano
nei ricordi
di un abbraccio invisibile
La speranza
come una lucertola al sole
svicola cheta
tra il freddo di gennaio
e i sogni da ricostruire
Il nuovo anno
dolce e imperfetto
sospira tra i resti
di un Natale che fu
Cos'altro mi rimane se non contare
finanche i secondi trascorsi
da quando sei uscita dalla mia vita,
silenziosamente, senza clamori
così come c'eri finita?
Una meravigliosa sorpresa,
immensamente gradita.
Chi poteva immaginare che una giornata storta,
mi avrebbe permesso di incontrare
la più dolce delle creature?
Ma le cose belle non sono altrettanto durature.
E ora che non ci sei più
sprofondo nel silenzio dell'autunno che incombe.
Non é strano che proprio ora che non ci sei tu
ha iniziato a piovere?
Anche il cielo piange, é un'ecatombe.
In realtà ci sei ancora, ma non qui con me,
ma nel tuo mondo che non é anche il mio.
Ora che le vicissitudini c' hanno allontanato
non mi resta che custodire il tuo ricordo,
e ciò che ricordo con più chiarezza
non é soltanto la tua bellezza,
ma anche la tua dolcezza, la tua delicatezza.
Non mi resta che sperare.
Chi lo sa, un giorno ci potremmo rincontrare!
E magari tu sarai più propensa a darmi un'occasione,
nella quale anche il tuo cuore vibrerà di un'emozione.
Alla fine chi poteva sapere
che anche una giornata amara
può portare qualcosa da salvare?
Non ci speravo proprio, eppure accade.
Allora che accada di rivederci
questa volta senza freni inibitori...
connettiamo i nostri cuori.
Che sia il destino a giocare per noi
a realizzare ciò che io voglio, ciò che tu vuoi.
come corda nuova d’arco,
grida forte quanto vuoi
le tue mancate ribellioni.
Spazza l’aria e il tempo
dai capricci miei in arrivo.
Salva nella sacca a stelle
i ricordi fuori memoria.
Sii puledra da ammansire!
Duna dopo duna
io ti voglio infine nuda
al mare mio che non inganna.
Chi muterà la scena?
Anno dopo anno
ameremo le abitudini,
udiremo sirene decadute.
Nei silenzi che verranno,
piano schiaccerò le dita
tra le rughe tue scorrette,
sul tuo seno troppo terso.
Inedita bellezza io rinnoverò
come quando ti ho scoperta.
Mi vedrai Arlecchino in festa,
principessa senza parole!