che sia di versi strani o quel di Maya
conoscere vorrei di “conoscenza”,
archetipico verbo evocativo
della brama più umana degli umani
che li contraddistinse già nell’Eden,
ne fu peccato, gloria e dannazione,
indi fu nelle Scritture accolto
ad intendere pur quella carnale.
Non so se fu un serpente primigenio
o un Elohim venuto dalle stelle
chi d’aver conoscenza tentò l’uomo
o se fu il sapiens giunto ad esser fabulans
che un demone creò dentro di sé
rispecchiandosi in torbide pulsioni
di fronte ad attrattive alterità,
il dominio del mondo e la libido.
Quel demone dall’uomo esorcizzato,
idolo assunto di sé identitario,
nominando “peccato originale”
l’esser degli animali il più arrogante
che distinguer saprebbe il ben dal male.
Sonetto classico, endecasillabi a minore, metà piani e metà sdruccioli, quartine a rime incrociate e terzine a rime alternate.
Chimica, fisica e la matematica
non son bastate a dare qualche senso
al mio dolore, abbastanza intenso
da render la mia vita problematica.
Se fosse stata la strada¹ adiabatica
nel cuore credo un freddo meno intenso
m'avrebbe dato più lieve scompenso,
serenità magari più socratica:
forse avrei preso con filosofia
queste inculate che con far prolifico
m'ha regalato l'esistenza mia.
Non ho capito tutto il geroglifico
delle istruzioni e le ho gettate via…
Ora mi serve l'antidolorifico.
¹: strada intesa come percorso della vita.
17/09/2024
Efesto e il futuro dell’umanità
Oh Efesto
Signore della creatività
Ora come sempre
Sul sentiero della conoscenza
Vi sono poche certezze
E un mare di misteri attorno a noi,
Quante volte grazie alla tua energia
Come l’ombra di un sogno
Una nuova verità
Emerge alla ragione
E rimpiazza quella vecchia.
Oh Efesto
Quante volte grazie a te
Fiorisce in noi un mare di intuizioni
Che precedono i tempi,
Immagini richiamano altre immagini
E come un sogno
Un pensiero emerge spontaneo nella mente,
Libero dalle barriere della razionalità
Svela lo sconosciuto
E ciò che sembrava impossibile
Appare in esistenza
Come se l’avessimo rubato al futuro,
A volte non crediamo ai nostri occhi.
Oh Efesto
Al di la dello spazio e del tempo
La tua energia è come il fuoco,
Sulla via della perfezione
Guida i sapienti liberi dalle catene,
Con un altro modo di percepire
Donandogli le chiavi per aprire le porte
Che dividono le cose conosciute da quelle sconosciute
Ma quella stessa energia
Ha lasciato in noi righe di sangue,
Dissolti nelle nebbie della follia
Ci ha portati più volte al limite dell’autodistruzione
La nostra specie ha rischiato di morire su se stessa.
Oh Efesto
Dove mai finiremo?
La tua energia unita alla saggezza
È la più grande armonia
Che suonerà come un accordo
Per chi ancora ci sarà.
Potremo un giorno
Unire ciò che è diviso
Vivendo in sintonia tra noi e con gli altri esseri,
Una pace eterna e infinita
E una rigogliosa prosperità
Regneranno su tutto il mondo,
Realizzeremo un sogno che pare impossibile
Ma impossibile non è…
La terra d’estate in questo mondo denso.
mio poetico mito sin dagli anni
di sofferta adolescenza,
a te giungo senz’affanni
con sommessa riverenza,
accompagnato da lieve brigata
onda nell’aria di suoni ed amore,
che s’allontana in calante fervore.
Aerëi vertici precipizi,
assorto al vento dei pini
tra pensieri che un dì m’eran fittizi
mentre m’assali e in cuore mio t’inchini,
coglier non so, né gioia nel tuo grembo
in questo del passato arcano lembo
che spinge fuor dall’anima i confini,
né so coglier nostalgico vissuto
d’ogni amore schermo alla tristezza
come a me pur accaduto
negli anni tristi della giovinezza,
ma colgo quest’intensa tua bellezza
fra larghi colli pensile sull’acque,
anche se di me spira solo brezza
da quando il mio impetuoso vento tacque,
ed è sapido rompere il mio pane
d’una vita alla qual poco rimane.
Non è ciò che davvero sta d’attorno
ma è solo il nostro modo di sentire,
e sillabe segrete in cuor nutrire,
come un eterno ritorno
a ciò che sta nell’anima sepolto,
a ciò che nessun può restituire
tranne un poeta a chi gli presta ascolto.
uscire in battigia
alla fine d’estate
con il vento a scommettere
ultimi raggi
d’ombrelloni al palo
le onde che sornione
mettono via la rabbia
schiumando
solo un desiderio
se la sera è questa
di non averti incontrato
come le barche
fanno quadrato
e gabbiani in fila sulla scogliera
hanno perso la voglia
raggiungo sul pontile
le prime ombre
a seguire il caffè
chiuso per turno
finisco nel vicolo
avanzando al buio
figurati ancora
la ragione di tornare a casa
Apostrofi d’eterno,
meteore dei miei baci appassiti,
mi disfo dei bozzoli del cielo
che più non mi appartengono
e non sei più tu
la casa dei miei giorni,
il peccato dei miei anagrammi vuoti.
Declino il rammarico dei tuoi sguardi
in alfabeti sconosciuti,
nel silenzioso carillon dei ricordi,
calpesto i colori dei giorni
come tenere spighe di grano:
arriveranno voci d’addio
a scrivere nuove emozioni.
A piedi nudi, smarriti e sconvolti,
in cima a carretti trainati da asini,
stipati in furgoncini ambulanti
bambini inermi tra nubi di mosche
piccoli indifesi tra urla e lacrime,
uccisi e mutilati, bimbi e neonati,
corpi decomposti sul ciglio stradale
e c’è chi ancora non batte ciglio
intrappolati in una rete di sofferenza,
infinito continuo stato di emergenza,
fugge per strada schivando proiettili
un bambino ferito tra ordigni bellici.
a farsi più forte,
ti urla dentro e scuote
quella povera anima, che
ha perso il colore.
Risveglia i sensi, i moti,
le fragili giunture, le tenui
dolcezze.
Ti rende più forte allo
sferzare del vento potente.
Ti reclama e aggiunge dimensione.
Balia di una voce che non ha senso
né vergogne, ti lasci trasportare,
e sai che lei ha ragione.
Ti sussurra insistente...non temere,
e respira il giorno, senza più esitare.
Sonetto classico, endecasillabi canonici (a minore e a maiore), quartine a rime incrociate e terzine a rime alternate.
Ma forse avrei bisogno d'un'aiuto
oppure un'auto per fuggire via…
L'auto o l'aiuto? Questo è il crocevia
davanti al quale resto ormai perduto;
L'aiuto, sì, del pubblico seduto…
quello da casa… che mi manda via…
Mi gioco il jolly e allungo l'agonia…
giro la ruota, insisto, son cocciuto.
Scaduto è il tempo, voltano le carte,
c'ho il due di picche, forse non è male!
Niente fortuna, tanto meno un'arte:
dicon che nulla la mia carta vale!
Resto in silenzio, messo già in disparte
vago nel nulla con dolore anale.
15/09/2024
col pensiero della tua risata
ammutolii
membrandoti alla luna
la codardia mi strappò via
lontano da ciò che volevamo
ed ora che voglio tornare da te
hai trovato altre labbra
la ferita al cuore non si cura più
passato l'anno, resterà per sempre
anche in futuri amori suonerai
le corde sottili della mia voce
tra speranze e fantasie
dei progetti uno particolare
ne ricordo il nome
Juliette, perdonami
Terzine di endecasillabi canonici (accento tonico secondario in 4ª e/o 6ª sillaba) con rime incatenate ad anello ABA BCB CDC DED EFE FGF GHG HIH IJI JKJ KAK.
Se mai potessi scegliere la forma
per trasmutare questo corpo stanco,
del mare credo forse nella torma
dell’onde che s’inseguon come branco
allegre, bianche in cima spumeggiante,
vorrei tra quelle che sono al tuo fianco
per te mostrarmi quella più importante
che t’accarezza, ti sostiene e culla,
t’accoglie e ti sostiene in ogni istante,
sirena mia, bellissima fanciulla
che ancora induci a battere il mio cuore
che, stanco, fuor di te non vede nulla,
restando tuo fedele adoratore;
un’onda che furtiva a volte s’alza
ma dolcemente, senz’alcun fragore
e sulle labbra un bacio lieve incalza,
teneramente sfiora le tue guance
col petto che di battiti sobbalza
e senza perdersi in inutil ciance
portarti in ogni dove tu abbia voglia
sfidando il vento senza voler mance;
fatica non saria ragion di doglia:
portarti tra le braccia senza sosta
mi peseresti meno d’una foglia;
poi ritornando piano sotto costa
sfiorandoti così come può l’onda
sognando che tu me ne dia risposta
insieme resterem sotto gioconda
e bianca luna in due lasciando un’orma
che di passione e amore vero gronda.
13/09/2024
Come petali nel vento
hai scordato il tuo nome
sulla mia bocca
ed ho cenato col tuo addio
senza la casa dei tuoi sguardi,
ho sperperato la tua nostalgia
in bozzoli di cielo capovolti
ma la punteggiatura della notte
disegnava assaggi di luna
inchiodati al tuo petto:
ripenso a te,
fra queste virgole d’inverno.