dove ogni nostra fiducia si scioglie nel fango delle tenebre nel momento in cui si spegne pian piano la vita segnando i tristi destini irrimediabilmente
in chi ha perso la battaglia, e non restan altro di loro che un numero che li identificano nelle memorie di quel registro ospedaliero segnato con l'inchiostro della necrosi. Dimmi chi sei veramente? Per lungo e in largo le tue scure orme hai impresso nelle nostre anime, lacrime amare a sorpresa
ci hai lasciato e lene speranze accendi negli angoli delle nostre case a riscaldarci di gelida psicosi fasciata da inquietudine.
Dimmi chi sei veramente? Dimmi chi sei veramente?! Ferrigno e
ben corazzato percorri la tua redola senza considerar la fragilità della nostra vita. Dimmi chi sei veramente? Dimmi chi sei veramente?Ma sappi o guerriero di questo tempo così periglioso di cui vuoi intingerlo di dolore
che spacca le viscere della pace, noi uomini donne e bambini siamo una umanità dalla quale di tutto puoi privarci tranne la speranza che mai nessuno può estinguere sul volto della terra, ossia quell'amore immenso
per la vita che mai nessuno potrà placare, neppure dopo la morte. Ma non si può neppure restare indifferenti allo sguardo del male quando ci sceglie sue predilette vittime, non puoi non tentare di osteggiarlo poiché è in noi la
fiamma della folgorante speranza mentre ci indica la strada della sua espugnazione.
Lui scenderà e scaverà fino in fondo al nostro più remoto essere per provarci e stancarci fino all'estremo, ma risaliremo se sapremo esser previdenti e circospetti in ogni sua mossa perché di pura speranza è
formato il nostro plasma mentre scorre positivo nelle vene. Lui invece così forte e superbo si fa sentire nell'anima quando i suoi abbracci avvolgono la vita dalla sua crudele morsa per farci suoi martiri nel suo preciso obbiettivo di defraudarci dagli affetti più cari, dai sorrisi sinceri di chi
amiamo debellando nell'intimo quanto è più prezioso per la nostra vitalità, protraendoci nel tunnel del supplizio ove non molte anime sapranno combattere le sue insidie. Sarà dunque una gran lotta e su una gran moltitudine di gente la sua ombra estenderà diventando loro imponente patrono, ma mai nel loro e nostro cuore noi che ancora siamo al sicuro! Perché proprietà sublime di quella luce fatta di vita ossia l'immortalità della speranza dentro l'anima che resterà in eterno in noi. Dunque dimmi chi sei o guerriero salito dall'inferno col mantello fatto di particelle untuose e avvelenate che al tuo scuoterlo ci allontani dalla libertà sconvolgendo ogni nostra libera scelta e stile di vita! Dillo chi sei perché noi ci siamo identificati! Ma sappi anche che sulla tua meditata rivincita su noi, sappi che saremo più preparati che mai a giocarci la partita perché incredibilmente audaci saremo nella vittoria, e finalmente tu sarai Covid-19 nella scaletta dei sconfitti e archiviati negli scaffali delle memorie del tempo di questo mondo per sempre.
Il castano chiaro dei suoi capelli copriva le mie screpolate labbra.
Il sapore di balsamo e il profumo di smog parigino si fondevano nel mio olfatto contaminato da lei.
Sorrideva, guardando le giostre in lontananza fare capolino, tra le luci nascenti della città.
Il sole era ormai annegato nelle acque torbide, e nei suoi occhi rifletteva gli ultimi raggi.
Sentivamo un sassofono strillare sulla passerella, tra i viandanti smarriti.
Tese la mano verso di me e questa, sporca di zucchero, s’appiccicò alla mia.
Sotto la luna dell’innamoramento.
Al porto quel giorno Chiara volle esserci anche lei ad accogliermi.
Insieme a Nino un caro amico di famiglia, quella famiglia che avevo perduto in un bruttissimo incidente, dal quale solo io rimasi illeso ma questa è un altra storia.
Durante questo viaggio non feci altro che ripensare, che finalmente avrei potuto vedere un volto amico, una cara persona che mi riportava a quelle che erano le mie radici, a quella parte integrante di me.
Vi era un sole caldo che confortava! Nino mi vide, mi chiamò ad alta voce agitando le braccia, ma ad attirare la mia attenzione fu anche quella giovane donna al suo fianco, che con fare garbato se ne stava li indossando una gioia celata, con quella felicità di condividere quel bel momento come se attendesse da tempo di vedere quel qualcuno, che lei fino al giorno prima aveva potuto solo immaginare. Mi attendeva come se fossi stato un caro amico.
Mi avvicinai stringendo Nino in un caloroso abbraccio, quanti gli anni passati, ma lui mi disse che mi avrebbe riconosciuto tra tanti.
Restò in tanto il come, sul fatto stesso di come avesse fatto a riconoscermi, visto che non ero più il bambino che vide l'ultima volta.
Mi presentò Chiara sua nipote! Persona timida, bella come quelle parole che non riesci a dire e a trovare in tali circostanze.
Forse la mia felicità nasceva in quell'istante! Non avrei potuto fare più a meno di quel viso, dei suoi occhi, del attimo in cui avrebbe sorriso ed incantato così la mia anima.
Passarono i giorni, dei giorni belli, ed avevo costruito in così poco tempo, un pizzico di tanta desiderata felicità.
Non mi sentii affatto un ospite in quella tenuta, ma giunse il giorno della partenza.
Preparando i bagagli, speravo ancora in un gesto, che io non ero in grado di fare, ma in quei giorni mai un accenno da parte sua, mai un segno che potesse far capire un qualcosa in modo chiaro, in modo che io potessi spiegarle.
Per Chiara forse, anzi di certo, ero un amico. Solo un amico caro!
Arrivammo al porto, stavo per andare via con dentro di me, un forte sentimento taciuto, di certo il più forte che avessi mai provato prima.
Salutandoli sulla banchina del molo, mi celavo dietro un sorriso, amaro come non mai.
Ci rivedremo Andrea, stai tranquillo! Così mi diceva Nino facendomi pensare ad un probabile ritorno ad una sua disponibilità sempre presente.
Mi raccomando riguardati!
Sapevo, andato via che fossi, quello sarebbe stato un addio.
La nave parti non potei più scendervi, ma trovai il coraggio di gridare una parola rivolta a lei, non ti dimenticherò
Il pianto in tanto inizio a sgorgare imperterrito da gli occhi di Chiara.
Non potei dimenticare quello sguardo disperatamente affranto.
Son passati anni da allora, ed i suoi occhi di un azzurro così intenso sono ancora qui impressi nella mia mente, lucidi più che mai. Laghi profondi bisognosi di quiete.
Apparentemente esile nel suo aspetto, così elegante nel suo portamento, capelli neri, raccolti e sempre in ordine, la sua pelle come il suo nome, delicata, quasi evanescente bella come il petalo del ramo di pesco, come le cose più irraggiungibili e quindi le più desiderate.
Una donna estremamente sensibile dall'intelletto poderoso, capace di suscitare emozioni ineguagliabili, vivacemente forti, così da farti perdere completamente la testa e follemente innamorare.
Restò il fatto che ci siamo ritrovati e da qui non ci siamo mai più perduti.
E se tutto questo fosse finto?
Se scoprissimo che ogni atto, ogni parola ed ogni sentimento fossero frutto di formule complesse,
capire che tutto, compreso questo testo, è stato previsto, calcolato e premeditato, per propagare,
calibrare e sistemare questa umanità cosi,
esattamente cosi come siamo, senza scampo, senza scelta
se poi trovassimo invece una falla, un errore,
allora si, saremmo degli Dei,
controllare le anomalie, capire le imperfezioni sintattiche di un programma simulato
e se poi ci accorgessimo che la stessa anomalia, errore fosse già impostata, calcolate e previste
allora
alla fine
capiremmo che il destino è segnato
non c’è motivo di disperarsi non può andare altrimenti
procediamo tassello dopo tassello
stringa dopo stringa
fino alla fine
Era iI 1984 e, dopo un periodo di Guerra e pace in cui c'era stata ogni sorta di Delitto e castigo, A sangue freddo, guardando il Ritratto di Dorian Gray senza Orgoglio e pregiudizio giunsi, dopo una rullata di un Tamburo di latta, a sostenere che Il conte di Montecristo e il Gattopardo erano andati alla Ricerca di un mondo perduto per raggiungere addirittura l'Insostenibile leggerezza dell'essere...oh..boia Faust !!.. per questa cosa mi son rotto proprio i Buddenbrook...!
Comunque, in una notte di Cime tempestose io, Lolita, Ulisse e Pippi calze lunghe decidemmo, per dimenticare questo Giorno dello sciacallo, di cercare un'Isola del tesoro e dimenticare tutti i Fiori del male e cercare il Nome della rosa tra le Anime morte della Casa degli spiriti e sognare le Mille e una notte come Alice nel paese delle Meraviglie... Così parlò Zarathustra..!!
Aveva con sé solo uno zaino, e nemmeno lui sapeva che cosa contenesse, voleva solo sembrare un turista qualsiasi, voleva solo essere invisibile. Aspettò il primo taxi che passava di lì e, come si faceva una volta, lo fermò con la mano destra che sfiorava le caustiche nubi.
Quando salì, il tassista gli apparve sconsolato, tanto quanto lui ed il suo viaggio imminente.
“Dove la porto?”, chiese il navigatore abissale.
“All’aeroporto più lontano da qui. Ma sappia che ho solo 74 euro.”, rispose Gianfranco noncurante delle banconote sperperate.
Con un cenno, il tassista infilò la prima e, dopo aver controllato in modo assente lo specchietto sinistro, rilasciò la frizione in modo tutt’altro che delicato, come se stesse facendo un esame di guida.
“Sa, signore, dopo trentadue anni di questo lavoro di merda, ne ho sentite di richieste stravaganti, talvolta anche insoddisfacibili, ma la sua…
La sua ha appena vinto una medaglia d’oro,”, disse, mentre contorcendosi distese all’indietro la mano destra a cucchiaio, e continuò, “vuole una mentina?”
“Se anche fosse una pasticca di cianuro, mi farebbe solo un piacere.”, pensò Gianfranco accettando, incerto se avesse solo pensato quelle cose o se le avesse sputate sul tappetino dell’auto.
“Non vorrei sembrarle indiscreto, ma dove si sta dirigendo?”, chiese cambiando marcia, mentre ormai erano alle porte della città.
“Credo farò un sorteggio tra le destinazioni del tabellone delle partenze.”, rispose Gianfranco.
“Audace da parte sua, signor…?”, disse il numero di matricola 692 dell’Associazione Tassisti Bolognesi.
“Tonelli. Mi chiamo Gianfranco Tonelli.”, replicò inventandosi un cognome. Gianfranco era paralizzato, e si spostò dal sedile destro a quello centrale, che, seppur più scomodo, permetteva la visuale e del tassametro e della strada.
Prese il taccuino dallo zaino e, accorgendosi di aver lasciato la sua stilografica nell’ormai ex casa, proferì: “Mi scusi, avrebbe per caso una penna?”
Gianfranco cominciò a tossire incessantemente, e, come se avesse delle convulsioni, si contraeva. 692 accostò tempestivamente.
Slacciandosi la cintura, infilò la testa nel loculo tra i due sedili, e disse: “Va tutto bene?”
“Una penna! Una fottuta penna. Ha una penna?”, esclamò con tono interrogativo, sotto lo sguardo incredulo del pelato.
“S-sì, ce l’ho una penna.”, rispose passandogliela, mentre si riallacciava la cintura scuotendo il capo.
“È blu? Ma chi le usa le penne blu?”, pensò, sperando anche questa volta di non aver aperto bocca, poi scrisse:
Quando leggerai queste ultime parole, chissà dove sarai. Chissà cos’avrai provato. Chissà dove sarò io. O forse lo so, forse starò scrivendo su un altro pezzetto di carta, strappato chissà dove. Ho sbagliato tutto, ma a te non è importato. A te bastava sapere che respiravo ancora. Non dovrebbe interessarci della parola “amore”. Chi cazzo lo saprà mai cos’è l’amore? Forse solo chi l’ha inventato. Vorrei solo un po’ delle tue sapide lacrime ora, per poter disinfettare il mio sangue. Ma, in fondo, quei due liquidi sono passeggeri, sono più fugaci della paura. Il liquido che conta è questo, questo blu del cazzo, che ora sta diventando nero a forza di spremerci gli occhi sopra. Questo è Gianfranco su carta, e Gianfranco spera che tu possa capire.
Firmò, e poi si zittì per il resto del tragitto.
Una volta arrivato, con il tassametro fermo a 68 euro, Gianfranco diede il portafoglio ed il pezzo di carta al tassista, e disse:
“Dia questo foglio alla prima donna sola che vede per strada, e le dica che l’ho amata. Arrivederla."
“Ascensore guasto”
Oh, che disgrazia! Ma come era possibile? Perché quel malefico ascensore aveva scelto proprio quel pomeriggio per rompersi? Olga non avrebbe mai immaginato, varcando la soglia del suo condominio, che si sarebbe trovata a dover affrontare nove piani a piedi per arrivare a casa. Restò immobile per qualche secondo fissando quel foglio incollato con lo scotch, rileggendo quelle due spietate parole per almeno tre o quattro volte, come se magicamente potessero sparire o mutare. Infine si convinse che era tutto vero: l'ascensore era guasto, e l'unico modo per arrivare a casa, all'ultimo piano, era usare le proprie energie affrontando l'impegnativa salita. Con rassegnazione Olga percorse quei pochi passi fino all'inizio della prima rampa di scale. Era abituata al comodo ascensore, al suo consueto odore e rumore, allo specchio in cui si rifletteva durante la salita, alla lampadina sul soffitto e alle porte che si aprivano puntuali 3 secondi dopo l'arrivo al piano. Quel pomeriggio invece, 180 scalini l'attendevano minacciosi piano dopo piano fino all'agognato traguardo costituito dal suo amato appartamento. Come se non bastasse Olga quel pomeriggio non era rientrata a mani vuote: aveva due grandi borse piene di roba, per svariati chilogrammi di peso. "Accidenti alla mia voglia di fare shopping proprio oggi!" si rimproverò. Aveva passato la mattina al centro commerciale, dove aveva anche pranzato, e durante quelle ore aveva visitato un bel po’ di negozi. Quando era uscita di casa al mattino l'ascensore funzionava, invece al suo ritorno, carica di acquisti, aveva trovato questa bella sorpresa del guasto!
"Olga", disse a se stessa, "ormai ci sei e ti tocca salire, non puoi sottrarti, coraggio, tira fuori l'energia e ce la farai!".
Il suo piede destro toccò il primo dei quei 180 impietosi gradini. Da dietro la porta dell'interno 1 proveniva il pianto di un neonato: era il figlio di un mese dei signori Bianchi. Olga nell'udire il pianto vigoroso di quella nuova vita, così piccola ma già così potente da farsi sentire a grande distanza, si caricò di ottimismo, e sentì un'ondata di energia che le mise un motore alle gambe! Pensò a quando era piccola, ai suoi primi ricordi: il suo orsetto di pelouche, il suo lettino, il bacio della buonanotte della mamma, i giochi con sua sorella di 3 anni più grande di lei (che quando era piccola le sembrava un gigante!), l'asilo, il suo grembiulino a quadretti rosa, la dolce maestra dai capelli rossi di cui però non ricordava il nome. E così via, passando attraverso le scuole elementari, le prime amicizie, le gite, il Natale in famiglia, i pranzi a casa dei nonni, gli incontri con i parenti, i cartoni in tv, le merendine da scartare, la maxi torta dei suoi 10 anni! Quando era una bambina tutto le sembrava più grande, tutto la incuriosiva e la sua voglia di capire e di esplorare non si esauriva mai. Certo, c'erano anche le cose meno belle: le lezioni di matematica, il buio della notte, i ragni sul soffitto e l'odiato merluzzo che ogni venerdì sua madre pretendeva mangiasse! Per non parlare della vecchietta acida dell'appartamento accanto che si lamentava sempre del rumore che lei e sua sorella facevano quando giocavano e del volume della tv troppo alto.
Con questi pensieri il primo piano di scale letteralmente volò via. Olga neanche si accorse di stare già salendo la rampa che conduceva al secondo piano. Continuando ad esaminare i ricordi della sua vita, passò alla sua adolescenza, un periodo un po’ strano: il suo corpo che cambiava assumendo fattezze di donna, la scuola che si faceva più impegnativa, le compagne di classe antipatiche, il bel ragazzino dagli occhi verdi che però aveva simpatia per la sua compagna di banco, i programmi televisivi fatti di persone e non più di cartoni animati, le prime uscite di casa da sola, la difficile scelta della scuola superiore, i primi batticuori, il primo fidanzatino, i litigi con i genitori e la sorella, e la sua amica del cuore dell’epoca (chissà che fine aveva fatto?) con cui condivideva sogni e paure. In compagnia di questi ricordi che le procuravano una dolce nostalgia e tanta tenerezza, giunse brillantemente al secondo piano!
La terza rampa di scale l'accolse che era ancora piena di energie, ma non poté fare a meno di notare un cambiamento dentro di sé, come una presa di coscienza del punto a cui era arrivata: l'attendeva ancora la maggior parte del viaggio, e le cose iniziavano a farsi serie, proprio come quando nel suo terzo decennio di vita, dopo aver entusiasticamente spento le candeline dei venti anni, passò anni cruciali a costruire la sua futura vita lavorativa e familiare, studiando, lavorando, facendo progetti per il futuro, risparmiando insieme al suo fidanzato per comprare casa, mettendo le basi per costruire una nuova famiglia. Quelli erano i fatidici anni in cui tutto era niente e niente era tutto. Da ventenne Olga non era stata mai ferma, in una continua altalena tra divertimenti e impegni di ogni genere! Nel ripensare a quel periodo Olga sentì dei brividi: l'importanza delle scelte fatte e dei rischi corsi era stata immensa tra i venti e i trenta anni d’età, avrebbe segnato tutto il resto della sua vita, ma ce l’aveva fatta: aveva raggiunto quel fatidico terzo piano tornando con il pensiero al suo trentesimo compleanno, il momento in cui, con orgoglio ma anche con un pizzico di amarezza, si era sentita davvero adulta!
Ora si apprestava a salire i gradini che conducevano dal terzo al quarto piano, che con la memoria l’avrebbe ricondotta fino ai 40 anni: ormai era giunta abbastanza in alto e a quel punto Olga (la quale si ripeteva spesso che avrebbe dovuto fare un po’ più di moto!) iniziò ad avvertire non proprio fatica, ma le gambe che cominciavano a farsi più pesanti, sicuramente per il carico non indifferente che portava con sé, proprio come le giornate del suo quarto decennio di vita, così intense tra il lavoro, i figli piccoli, la miriade di impegni quotidiani da portare a termine, il tempo e i soldi che sembravano non bastare mai, ma che per fortuna alla fine bastavano sempre! Con fatica, pazienza e tanto amore si andava avanti giorno per giorno, gradino per gradino, e così ecco arrivare nei ricordi la deliziosa ma terribile torta dei 40 anni, così odiati dalle donne perché per secoli considerati la fine del fascino femminile e l’inizio dell’età “matura”! Olga era ormai a metà della scalata. "Nel mezzo del cammin di nostra vita" avrebbe detto Dante. Il quinto decennio della sua vita, ovvero l'età in cui si trovava in quel momento, esattamente tra i 40 e i 50 anni. Olga sentiva l'inizio di un cambiamento nel suo respiro, che si faceva più difficoltoso nel salire la rampa dal quarto al quinto piano. Una nuova consapevolezza, una diversa visione della vita, si affacciarono nella sua mente ripensando al suo presente: non si sentiva più una ragazza, ma ovviamente neppure anziana, era una donna come tante, con il lavoro quotidiano fuori e dentro casa, le soddisfazioni ma anche i problemi dati dai figli che crescevano, il rapporto con il marito che spesso risentiva della monotonia del tran tran quotidiano (dopo tanti anni insieme ormai!) , ma che a volte, come per magia, conosceva nuovi picchi di intensità e bellezza, e in quei momenti Olga sentiva chiaramente che nessun altro uomo avrebbe potuto sostituire "il suo"!
Faticoso ma emozionante quel quinto decennio, una vera sfida a restare in piedi, ad andare avanti nella scalata! Ormai ciò che era passato e ciò che restava si equivalevano, e da quell'altezza poteva osservare, dalla finestra del pianerottolo, la città farsi un po’ più piccola ai suoi occhi. Molta strada era stata percorsa e molta era ancora da percorrere, molti obiettivi raggiunti ed altri ancora da raggiungere. Intanto anche il suo corpo stava cambiando: qualche piccola ruga intorno agli occhi faceva malignamente capolino, e benediva l'inventore della tintura per capelli, con cui poteva coprire i primi fili d'argento. Certamente anche la linea non era più quella di un tempo, ma qualche centimetro di giro fianchi in più non era un gran prezzo da pagare se confrontato con tutto ciò che aveva vissuto, realizzato e imparato in quella prima emozionante metà della vita. Ormai esistevano tante persone più giovani di lei a cui poter dare consigli, e tante persone più anziane di cui ascoltare i consigli. Un equilibrio perfetto! Ma Olga non poteva fermarsi! Con quel suo carico che si faceva via via più pesante, le braccia e le gambe indolenzite e il fiato un po’ più corto, ecco che si accingeva ad affrontare la scala tra il quinto e il sesto piano. Olga aveva ancora una discreta riserva di energie, ma certamente sarebbe tornata volentieri alle sensazioni dei primi piani, quando si sentiva un fiore appena sbocciato, nel pieno della sua bellezza, e l'entusiasmo dentro di lei non era stato ancora attenuato dalla fatica, che ora cominciava a farsi sentire. Tuttavia Olga proseguì abbastanza speditamente lungo quei gradini della sesta decade, che rappresentava i suoi 50 anni, a cui non mancava più molto. "Dicono che oggi le donne di 50 anni siano come le trentenni di qualche decennio fa...". Si consolava così, immaginando il giorno in cui avrebbe spento quelle simpatiche candeline raffiguranti i numeri 5 e 0 (ma forse i suoi parenti e amici le avrebbero fatto trovare una torta gigante con cinquanta candeline da spegnere una ad una!) e intanto proseguiva la salita, progettando di costruirsi, nei suoi cinquant'anni, una seconda giovinezza con l’aiuto di estetiste, diete, sport e attività di vario genere, per tenere allenati mente e corpo e trovare nuovi stimoli!
In compagnia di questi pensieri costruttivi superò la sesta scalinata! Olga era ormai giunta alla settima rampa di scale, che nei suoi pensieri rappresentava il suo settimo decennio di vita, tra i 60 e i 70 anni: a questo punto il peso del suo shopping stava davvero divenendo un fardello. Le belle cose che aveva gioiosamente acquistato le apparivano meno esaltanti ora che arrancava su quei perfidi gradini. Tutto stava un po’ perdendo il suo fascino: la città, le auto, le persone che vedeva guardando in basso dalla finestra di mezza scala, ormai si erano fatte piccolissime e la lasciavano quasi indifferente. Olga era ormai concentrata su sé stessa, sul suo respiro, su come andare avanti senza cedere, e si rese conto che era giunto il momento di rallentare, di riposare un po’ per riprendere fiato. La salita era ancora abbastanza lunga, i gradini che l'attendevano erano meno numerosi di quelli già saliti, ma pur sempre tanti! Con timore ma anche speranza guardava in alto nella spirale dei piani che restavano da salire. A quel punto Olga ripensò al pianto del neonato del primo piano, e immaginando nella sua settima decade di vita i suoi figli ormai adulti, si augurò di poter di nuovo tenere un bimbo tra le braccia, ripromettendosi di diventare la più affettuosa delle nonne se i suoi figli le avessero fatto questo immenso regalo un giorno. Poi, sempre immersa nei suoi immaginari 60 anni, pensò alla fine del suo percorso lavorativo, un traguardo anelato e temuto al tempo stesso: si vedeva lasciare il lavoro dopo la sua festa di pensionamento, salutando i colleghi con gli occhi lucidi. Si riprometteva di tenersi attiva e non deprimersi, di affrontare la pensione come avevano fatto i suoi zii e i suoi vicini di casa, con mille nuovi interessi!
Così, lentamente e dolcemente, la settima scalinata e la settima decade di vita passarono. Dovette riposare un po’, appoggiando a terra le borse. Mentre riprendeva fiato per affrontare l'ottava rampa di scale, all'improvviso sentì una nuova ondata di sentimenti scaturirle dentro, una cosa che lei non si aspettava! Percepì euforia, gioia, terrore e inquietudine che poi fondendosi insieme si tramutarono finalmente in una dolce serenità. Ora niente le faceva più paura: era quasi arrivata al traguardo, si sentiva come un'anziana regina comodamennte seduta sul suo trono, ed acquisì la certezza che il suo ottavo decennio di vita, i suoi settanta anni, sarebbero stati meravigliosi nonostante le rughe, l'artrosi e le probabili medicine da prendere ogni giorno! Avrebbe dispensato amore e consigli ai suoi figli e nipoti, avrebbe trascorso tanto tempo con il marito a rilassarsi ascoltando musica, guardando un film o facendo tranquille passeggiate. Avrebbe letto libri e cucinato manicaretti. Ormai dalla finestra del pianerottolo la visuale era davvero ampia: l’altezza superava gran parte dei palazzi intorno e spaziava oltre la periferia, fino alle verdi colline, dietro le quali vi era la pianura che portava al mare. Il mare della serenità in cui nuotavano tutti i ricordi di una ormai lunga vita! Fu così che anche l'ottavo piano passò! Olga si sentiva in pace come non mai mentre rimirava quel fatidico nono e ultimo piano, che non le faceva più paura, perché ormai fatica e fiatone erano sublimati in una specie di estasi, e lei si sentiva letteralmente alle porte di una nuova vita immaginando il suo ultimo decennio, quello che l’avrebbe condotta dagli ottanta ai novanta anni! Ormai mancava così poco, così pochi gradini! Certamente un po’ si dispiaceva per l'approssimarsi della fine di questo emozionante viaggio, di questa scalata che aveva rappresentato tutta la sua vita, con tutto ciò che aveva già vissuto e la restante metà che le restava da vivere, immaginata così vividamente da sembrare reale, ma la felicità era talmente tanta! Ora il solo problema era rappresentato dai fardelli che si portava dietro. No, le sue braccia non potevano e non volevano più portare quel carico che ormai era diventato inutile e ridicolo! A cosa mai servivano tutti quegli aggeggi che aveva comprato? Il vero senso della vita non sono gli oggetti materiali, ormai Olga aveva tutto chiaro dentro di sé. Nessun rimpianto, nessun rimorso, nessun peso terreno poteva ormai riportarla verso il basso, ora che era giunta così in alto! Sul suo volto apparve il sorriso più bello che mai avesse fatto in vita sua, gettò a terra gli inutili pesi delle borse piene di cianfrusaglie, le sue braccia si tramutarono in ali e percorse l'ultimo piano...volando! All'arrivo l'accolse finalmente il dolce tepore della sua CASA.
Non tutti gli ascensori guasti vengono per nuocere!