Ho visto un tizio di nome Tazio che tirava tizzoni a un tipo tozzo, un poco truzzo, con in mano delle tazze da the tipiche del Trentino e una tracolla in pelle di tapiro del Togo trattata al tabasco...veramente tragicomico !
Mi è sembrato un po troppo !
Così, per distrarmi, facendo il trapper, trassi tre trote da un tortuoso torrente tra tralci di tamerici trilobate e tracce di timide tartarughine di terra.
Trascorsi così tutto il tempo nel solito tran tran
giocando a tric trac, a tressette e al tamagochi e postando tutto quanto su Tik Tok insieme ad un gruppo di terrapiattisti di Terracina tornati da Torino in torpedone.
Tuttavia è bene sapere che, se una talpa torna tardi alla sua tana e un tordo si attarda su un tetto tutto tarlato, è tempo di tentare di fare un tampone a tutti per terminare questa terribile tragica tribolazione... e, se tanto mi da tanto, sappiate che "ti che te tacchet i tac, tacati ti i to tac, ti che te tacchet i tac...e questo è veramente tutto ! 
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Profilo Autore: Ferruccio Frontini  

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«TAMOIL mia GIULIETTA, per te superai le API e arrivai fino al Q8»


Eravamo in MAGGIOLINO e il caldo si faceva sentire, avevo anche acceso la CITROENella per tenere al largo le zanzare e per le strade non GILERA nessuno.
Pensai fra me e me, dopo aver riposto il vecchio GOLF nell'armadio e aver indossato una POLO, di come PASSAT il tempo in uno SPRINTER, mi resi conto solo allora che in fatto di conti non avevo quel Fiat al Qubo in più.
Il caldo mi faceva sognare una Honda dai colori spumeggianti che mia avvolgeva con il suo Swift.
Mi tirai un po’ SUZUKI e in BALENO preparai un SEAT di valigie, ma era solo tutto un bel sogno,
mi svegliò il borbottio d’una caffettiera e un bell’ARONA di caffè.
Eppure avevo ancora molta SEAT e mi preparai una SANDERO rossa trovandomi catapultato con la fantasia in una grande DACIA sul mar Baltico, soli io e te… e mentre immaginavo una nuova VITARA non m'accorsi d'uno scalino e QUASQUAI in terra, per fortuna non mi feci nulla prendendo solo una COROLLA che fuoriusciva da un vasetto.
Mi feci una SKODA di zuppa di fagioli e ripensai al mio vecchio amore OCTAVIA e questo mi rianimò, ma fuori da ogni dubbio eri solo tu il mio vero amore ALFA e io come un novello ROMEO cercavo te o mia GIULIETTA.
Mi chiesi che fine avesse fatto pure il mio primo amore alle elementari, quella certa Fabia che per qualche anno aveva preso il mio cuore e se avessi potuto avrei ceduto il mio DUCATO, pagato un FIORINO da un nobile in rovina, per tornare indietro nel tempo.
La confusione regnava sovrana nella mia mente e ruggiva come un JAGUAR nella gola.
Ero sicuramente proprio un bell’ E-TYPE e decisi di godermi quella giornata, mi lasciai prendere dall'ebbrezza del tepore solare e con la radio a tutto volume non AUDI nulla al di fuori dei miei pensieri, sognando animali esotici e ritrovandomi come in KUGA dalla realtà e totalmente Ford al richiamo della vita vera.

Pensieri in mutandem tra la mia amica GRAZIELLA e...

«Che bella che era la mia GRAZIELLA, quella compagna di banco all’asilo! Ma la quotidianità mi riporta a te.
Sai mia cara GIULIETTA ho lavato i miei vecchi BOXER che tanto mi PIAGGIO e a loro ho detto CIAO per indossare più comodi MINI e il MINOR che posso fare»

Uno scroscio di PIAGGIO mi fece dire SI e poi CIAO e per non bagnarmi corsi come 2 CAVALLI in una battuta di caccia con DYANA riuscendo a rifugiarmi in una DUNA.
Questi nomi mi tormentavano e mi sembrava di ripeterli all’infinito in una SCENIC usata e già vista.
La storia però doveva andare avanti e lo avrebbe fatto comunque e perdinci non potevo lasciarti da solo mia cara GIULIETTA.
In testa disegnai gli eventi con un COMPASS perfetto e poi...
Partii verso di te ma durante il tragitto ricordai che avevo lasciato tutta la vecchia ARGENTA nel comodino, accidenti era un ricordo di mio nonno a cui tenevo molto.
Temevo che qualche ladro di MALAGA, arrivando col traghetto da ASCONA, lo avesse potuto rubare, oltretutto mi tormentava ancora un piccolo dolore al RENAULT, che mi perseguitava da un po'; presi due pastiglie di IGNIS e mi sentii nuovamente un LEON.
Mi dissi, riflettendo, che la vita non si JETTA così e proseguii il viaggio, intanto la SCENIC del PANORAMA si presentava meravigliosa e io continuavo a sognare di te.
Avevo comprato un’AGIP quattro ruote motrici ed ero talmente felice che gridai IP, IP urrà! Ma durante il viaggio fu una SHELLerata che mi conquistò perché aveva indosso una maglietta FINA presa coi punti. Lei, vedendomi da lontano nella mia bellezza, mi fece l'occhiolino e mi disse: «Hai lo sguardo da PUMA, ENI ENI amore andiamo alla STATION.»
«Io risposi che lei era una bellissima TIGRA»
La presi per mano e in un TOTAL partimmo ma un tizio con un APE ci inseguì a bordo di una VESPA usata. Allora urlai impaurito: «ma chi è ESSO che ci segue?» Riuscimmo a rifugiarci in un AUTOGRILL e, per riprenderci dallo spavento, ordinammo due REPSOL con ghiaccio, non shekerate ma mescolate alla James Bond! Dissi al Barman: «Tanto Peugeot di così si muore, faccene 205. anzi 206, no 207, ma che dico 308 e magari 508»
Lui si girò, mi osservò con occhi di PUMA e mi rispose in un FIAT.
«IES we can, ora mi eVOLVO da qui e ve ne preparo circa dalle 3008 alle 5008, vanno bene?»
Chiesi per riguardo alla mia tasca quanto costassero. Mi rispose ridendo:
«Un FIORINO e uno SCUDO, con la rottamazione veicoli industriali»
Pagai senza ribattere con un bigliettone da cento.
«Prendi il resto amico, ti servirà PANDA in giro dove vuoi e vedere tutti i PANAMERA del mondo» disse il tale. Allora mi guardai negli occhi da solo e pensai: «È proprio un bel TIPO, avrà una MAREA di lavoro in questo locale a THEMA degli anni 80.»
Avevo ancora sete e la mia donna pure assai e devo confidarvi che era proprio una tipa PORSCHE. Prendemmo due 10w-40W full sintetyc al Whisky & Skoda ma ci fecero di molto male e corremmo al bagno a fare una KAWASAKI urgente. Dopo esserci liberati ci accertammo che nessuno ci avesse seguito. Eravamo stanchi e... un signore dall'aria bulla, appoggiato alla pompa della gasolina, ci chiese: «Ma voi, ndò Hyundai così Korando?»
Gli risposi con aria esterrefatta: «Non ti riguarda, ma Kia me l'ha fatto fare questa sera, che figlio di Toyota sto qua»
Avrei fatto meglio a rimanere a casa, steso sul divano con accanto il mio caro Kangoo.

GIULIETTA unico amor e nel cuore tutto è sogno e nemmeno fantasia, oppure realtà e sono incasinato talmente tanto che non comprendo, ma chi MEGANE me lo ha fatto fare?

Mi voltai di scatto e anche la pupa era sparita, tutto era sparito e dov’era la via per GIULIETTA? Ero solo un OM davanti al suo camion. Accesi un FOCUS per riscaldarmi e non rompermi le PALLAS e sentii ancora uno strano odore di CITROEnella.
MI dissi: «Farò una piccola FIESTA e mi farò TRANSPORTER a CHEVROLET da qualcuno
di CORSA con uno scatto AGILA. OPEL la finestra e guardai il cielo colmo di ASTRA: «Che meraviglia mi dissi dentro»

Ma in che MONDEO vivevo? Ma che CASTROL di storia era questa? MICRA ero diventato matto?
NISSAN avrebbe saputo mai che in fondo... TAMOIL ancora oh mia GIULIETTA.
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Profilo Autore: Giancarlo Gravili  

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Visioni e realtà Di Genoveffa Frau & Giancarlo Gravili

Giunse alla cappella nella notte.
Due templari presidiavano l'altare e una bimba dai lunghi capelli giaceva supina tra le braccia
di un cavaliere d'acciaio vestito.
Quei fluenti e corvini capelli cadevano leggeri quasi a sfiorare la fiamma di un cero che ardeva
di vivida luce d'oro impregnata.
Fu cosi che la Dama comparve rivestita di morbido velluto nero col suo alone di luce e mistero a portar via inutili maschere che il male da tempo indossava simulando di essere un angelo sceso in terra per le anime pure.
«Vade retro» disse la Dama, nessuno scettro o altare t'appartiene.
Tu che sei fautore di guerre e torture torna agli inferi da cui provieni e brucia nel fuoco eterno della tua dannazione, queste anime sono libere dal tuo predominio.
E la luce della pace accese la notte e i giorni a venire.

«Un candelabro sembrava fare da guardiano alla porta d’ingresso e di riflesso appariva un grande cero che illuminava lo splendido viso della Dama.
Due figure velate da cappucci neri recavano la luce che illuminava tutta la scena.
La pura bellezza di quella figura femminile era nascosta nelle pieghe dell’oltre che ora appariva ora si mimetizzava nei riflessi della luce stessa.
Nessuno avrebbe mai potuto stabilire in realtà quale fosse l’apertura o il passaggio che conduceva a questa segreta stanza né era possibile stabilire una relazione con il senso delle cose esistenti.
Eppure la Dama esisteva con tutto il suo misterioso fascino e poi chi erano quelle figure che sembravano proteggerla in cerchio?
Forse quel luogo era il simbolo della chiusura al maligno, a quei moti sconvolgenti di vento maledetto che spesso sollevano le anime per sbatterle nelle affamate fauci del perverso.
Esso dava l’impressione d’essere un rifugio celato in chissà quale ripostiglio dell’oltre.
Era inutile cercare le chiavi del passaggio o dannarsi in eterno per carpire l’amore della Dama misteriosa e tutto ciò che la sua figura significasse.
Ella esisteva in quel luogo che non era un luogo e in quel tempo che appariva e avveniva solo quando la luce permetteva che filtrasse sino agli occhi non vedenti degli altri.
Sì, quel mondo poteva essere guardato solo attraverso la purezza dell’incanto, la semplicità dell’anima e non con la razionalità del peccato.
Intanto in quel tripudio di toni scuri il fumo della candela segnava il tempo e voci surreali riempivano di racconti l’etere.
Qualcuno ascoltava queste storie rimanendo da esse incantato.
E quando la luce spazzava via le immagini anche il leggero e balbettante fumo d’una candela svaniva e con esso la misteriosa Dama, padrona del mio esistere
»
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Profilo Autore: genoveffa frau  

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Tu non sai, che dispiacere trattenerti, nei miei pensieri; immancabile calma, per te, che ti affanni a cercare ciò che manca, ma nel frattempo apprezzi ogni piccolo sussulto.
E se ti guardo dall’azzurro dei miei occhi, adagiami, su fasci di luce pastello; fin dove l’aurora si spinge, nella linea di fuga del Tempo e fa in modo che l’Amore cucia i bordi, in un intreccio forte; trattenendo le parole calde, levitate ai fianchi, che mai e poi mai, fuggiranno; perché la vita, ormai, ha fatto di noi un incastro perfetto; acqua e fuoco, calma e spinta, cuore e testa… e quando il vento, soffierà più forte, accoglierò di te ogni parola, e le tue calde mani saranno nuvole a coprirmi.
Tu non sai, amore mio, che quando siamo una cosa sola, e tu mi baci, confondo i brividi nell’arcobaleno, per una pioggia di emozioni.
Adesso sono lago, per te, e quell’abbraccio tondo, non è altro che il cerchio chiuso, dove resteremo mano nella mano, per sempre.
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Profilo Autore: sasha  

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Di questa circolare vita

non scorgo via di uscita:

coincidono nascita e morte,

non temo più la sorte.

Un senso a questa cerco,

non ne trovo uno certo.

Il giorno e la notte,
sorrido e sospiro,

cambiando più volte,
sto sempre nel giro

dal primo in cui vivo
all’ultimo respiro.

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Profilo Autore: alaska  

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L'acciaio di Kromm


«Prendi questa spada, che a te porgo cavaliere»

Disse Aretusa nel sorger dall'acque chiare di sorgente.


«Impugna l'elsa, al sole mostra il lucente acciaio forgiato dal fuoco eterno di Kromm, a lui offri la vittoria e nel limpido mio specchio sposa l'onore d'armi con il tuo sangue, fa' giustizia, del maligno offusca il colore così che nei secoli a venire si canti delle gesta tue»

Dopo aver pronunciato queste parole ella svanì nei gorghi per non riapparire più.
Di quel cavaliere, che la spada del dio Kromm aveva brandito, si cantarono le gesta dovunque laghi e boschi vegliassero i sogni, dove il surreale era realtà e la realtà si trasformava in memoria.
Il cavaliere, dopo aver combattuto il male, rinchiuse la sua esistenza nelle caverne nascoste dalle viscere del mondo dell'impossibile.
Qui regnava la notte stellata della mente e i giorni erano scanditi dalla luce del pensiero che agli umani affanni donava la pace, qui l'essenza dell'uomo non era più tale e la simbiosi con il plasma
che percorreva il cuore della vita nutriva lo spirito dell'eterna giovinezza.
In questi luoghi viveva l'eco delle lontane battaglie.


«Antiche leggende narrate accanto ai fuochi dell'oblio dicevano che...
In anfratti bui e imperscrutabili, nascosti dal mondo che oziava intorno, vivevano in perfetta armonia con la natura del loro essere gli ultimi eroi d'una evanescente generazione d'illusioni.
Preclusi da ogni umana follia, oramai stanchi e vecchi, osservavano tristi i resti dell'andata gloria, veleggiando spesso in vecchi racconti e avventure seduti accanto a un ancestrale fuoco»

Forse erano falsi profeti d'una religione intinta di rosse emozioni, oppure nocchieri di vascelli che per mari inesistenti avevano navigato.
Nessuno mai lo avrebbe saputo.
Così come, mai alcuno poteva sapere dell'esistenza di quelle anguste caverne né di loro che in esse avevano abitato.
Eppure nella memoria dei nostri stanchi dei erano rimasti i ritagli delle loro gesta.
Essi erano i simboli d'antiche vicissitudini defunte nell'oblio del tempo, sepolte nello spirito
di ognuno di noi…

Ancor oggi passando vicino a quei rifugi s'avverte la loro presenza, s'intravedono, sbirciando nel cuore, gli antri che custodiscono i loro segreti.
Essi dormono d'un sonno leggero e profondo fin quando lo vorremo noi.
Si dice che durante la notte fuggevoli canti dimenticati galleggino nelle foreste che ricoprono quei luoghi e chiunque ascolti le loro melodie non torni più indietro.
Chissà forse tutto questo è vero, chissà forse quegli eroi siamo noi.
Così v'era scritto alla porta del cielo che custodiva l'accesso all'irreale mondo.

«Fra rocce e torrenti,
fra corsi d'acqua impetuosi,
fra muschi e foglie,
bagnata dal sangue,
tornò a svegliarsi una stirpe d' eroi.
Non più segreti imperscrutabili.
I sussulti d'una generazione
spazzò via il vento.
Antiche gesta svuotate dalla fantasia
si fusero con la realtà.
Cominciò così
un'esistenza nuova,
lontano da foreste secolari.
Venne per loro la certezza
d'essere soli nell'universo con le paure forgiate dal nulla.
Cosa restò del tempo dell'oblio?
Forse scoprirono d'essere eroi,
forse la risposta ancora una volta
rimase celata dalle notti stellate
che avevano regnato sui loro cuori
per lunghi anni»

I fuochi sono spenti, anche la fantasia lentamente muore e tutto il regno dell'impalpabile lentamente si addormenta in un sonno eterno.
Nell'eterno sonno dei ricordi dei figli del dio Kromm.

Dialogo d'un cavaliere con la sua spada.

Disse la spada al cavaliere «Ascolta, qualcuno grida il tuo nome»
Rispose egli impettito e fiero «Sarà il vento Queste caverne sono così profonde che esso sembra parlare in queste notti»
«Eppure ho udito bene, seppure son solo umile spada, era proprio il tuo nome»
«Amica mia, sono secoli che non vediamo uomini e il sole non ci riscalda più, forse il tuo acciaio non percepisce più il suono? Un tempo ascoltavi tosta il rumore di battaglie»
«Chissà, saranno i nostri ricordi che invocano giustizia»
«Ciò che rimane dello splendore che ci accompagnò in vita non è altro che un lieve sospiro di vento, così evanescente da non percepirlo»
«No, non posso crederlo è forse male scordare il passato? Non possiamo farci scolpire il cuore dagli eventi, il fato ci guidò, non è giusto»
«Mia spada non esistono cose ingiuste e neppure ciò che noi riteniamo giusto può essere denotato esattamente perché noi non esistiamo, noi viviamo solo nella fantasia che la realtà crea»
«Ma allora tutte le terre che abbiamo conquistato, i tesori? Non sono mai esistiti? Abbiamo immaginato tutto? Io sento la forza della tua mano quando mi impugni, percepisco l'odore del sangue, mi specchio lucente nelle acque d'un ruscello, vorresti farmi credere di non essere reale?»
«No, tu esisti, ma la tua esistenza è legata alla fantasia, all'irrealtà di chi creava le nostre avventure che poi egli stesso rendeva reali»
«Credere? Già non riesco a pensare a quello che dici, come posso credere se noi non siamo veri? Come posso catalogare ciò che siamo se po noi non siamo affatto?»
«Mia fedele compagna la tua affermazione è giusta ma lo è solo nel momento in cui tu accetti la tua irrealtà»
«Forse hai ragione, immaginare d'essere veri o esistere realmente... è tutto legato a un filo così sottile che non sapremo mai se siamo vivi oppure no»
«Oramai è tardi, torniamo a dormire, il freddo della notte non ci aiuterà a comprendere, il domani ci attende lì sulla porta dell'incoscienza»
«O cavaliere, l'acqua che scorre lungo le fauci del passato non è più limpida però se vuoi puoi specchiarti ugualmente in quel lago laggiù, vedrai solo le immagini che dentro di te erano scomparse, noi non siamo altro che lo specchio della nostra fantasia, non riuscirai a vedere mai te stesso perché tu non esisti, quello che l'acqua rifletterà saranno solo i tuoi sogni»
«Mai compresi la connessione con la natura amica mia»
«Ma ora è tempo che il buio lasci il posto alla luce, che il verde delle foreste faccia sentire
il suo profumo dentro queste anguste caverne, non possiamo chiederci eternamente chi siamo,
perché noi non siamo eterni.
Tu che mi ascolti amico vento abbandona questi luoghi e abbraccia il sentiero della vita.
Oh cavaliere impugna l'elsa della tua spada e sconfiggi l'oscuro che è in te»

V'era un tempo,
un tempo in cui il sogno abbracciò la leggenda
e la leggenda divenne quello che ora noi siamo...

«Un cavaliere imprigionato nel tempo inesistente
narra alla sua spada d’amori, battaglie e perdute muse
e il vento del nord ascolta con loro
mentre le lacrime della notte
sbarrano l’ingresso alle grotte del mai…»

«Mia Iscandar non guardare al grigio delle rocce
che circonda i nostri cuori ma ascolta le mie storie
e sogna ancora una volta del nostro tempo»

Inebrianti profumi salirono da sperdute grotte.
Echi di silenti note invasero anfratti inesplorati.
Chiamai per nome il dolore,
attesi ninfee osservando acque di smeraldo.
Porsero a me dorati omaggi.
Schiusero mani per donare amore.
Nel fango morirono,
in attesa della passione.
Pianse il re Sole la perduta amante,
venne notte e i fiori di loto si schiusero,
senza essere visti.
Venne luce e corolle s'aprirono
a coprire segreti.
Mesto destino adornò bianche vesti
di fanciulle figlie della luna.
Nessuno ascoltò più i lamenti,
lamenti ascoltarono il canto del trapasso.
Dormirono ninfee nel profondo,
un sussurro alzò sabbiose dune.
Un vento lieve mosse trasparenze
e tutto s'acquietò in attesa del buio.

In attesa di lei...

«Dove sei mia Hydrusa,
di saggezza incontaminata fonte.
Di bellezza indomito corso.
Fa' che io veder possa gli occhi tuoi
per il trascorrere libero dell'anima tutta.»

Oh mio bosco di profumate tamerici,
lascia andare purezza.
Lascia immergere nei verdi flutti
la coppa delle meraviglie,
per dissetarmi dell’immagine sua
nel brindare con te all'eterna giovinezza.

Del tuo profondo in mistica posa
vanno di mimose gli arbusti
a perdersi in tormentato suo corso.
Tremule e pesanti le mani,
cedono i passi miei.

«Ma io verrò,
inseguendoti Hydrusa.»

Verrò verso il mare.
Senza concedere tregua
e dormirò nella grotta dei giganti
un immaginifico sonno.

Ascolterò l'inascoltato parlare
delle nebbie del mattino.
Sentirò risvegliarsi gli dei,
dall'alte rocce dei silenziosi dubbi.

Dai venti assaporerò
l'odor dell'isola di Zante.
Sarò tempesta e poi chete
donata alla tua sete d’amore.

Volerò nell'oscura danza delle falene.
Sarò Kalispera nel morire del giorno.

«Sagapò mia Hydrusa.»

Brezze fredde or portano lontano,
dal mio perduto sguardo.

E tu,
se ancora mi puoi sentire.
Dammi luce del tuo incanto
che calme brillino
le onde del mio pianto.

Vedo i bagliori del tempo
accarezzare le tue gote,
mentre l'oscurità scende
sull'inganno dell’esistenza.

Se questa è fine...
Sarò agognata fine,
tuffandomi dal promontorio
delle memorie impossibili.

«Sarò fine
in volo senza ali,
verso te
oh mia amata Hydrusa.»

«Mio signore ma dov’è Hydrusa ora»
«Fedele Iscandar ella è ovunque e in nessun luogo»

«Sorrise in silvestre luogo
il canto di lucenti raggi.
Mai trovò amore perso.
Mai il colore della passione
si svelò al crepuscolo della vita.
Tra ombra e chiarore
s'imprigionò l'essenza
e vite s'inseguirono
senza mai raggiungersi...
Nel comune destino
del non trovarsi.
E mai destino fu più crudele»
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Profilo Autore: Giancarlo Gravili  

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Mia nonna Maria Rita entrò per la prima volta in contatto diretto con la morte all'età di tredici anni. Era una tranquilla mattina di maggio del 1958, la primavera esplodeva in tutto il suo splendore, un sole lieve indorava le colline, i roseti erano in piena fioritura e le viole permeavano l'aria con il loro profumo inebriante. Anche la natura era contenta. Iolanda, la sorella maggiore, era in cucina, Paolo, il fratello, era uscito di buon mattino ed era impegnato nel lavoro dei campi. La nonna se ne stava in camera sua ad imbellettarsi alla toeletta e indossava il nuovo vestito fiorato, un regalo del padre ricevuto per Pasqua, di certo una novità, poiché i loro vestiti nella prima infanzia li aveva sempre cuciti Rosina, la madre, sarta in casa.
Quando le due ragazze, appena adolescenti, udirono un urlo, si precipitarono nella camera da letto dei genitori e ad entrambe venne un colpo al cuore, si riempirono gli occhi di lacrime. Rosina era con il capo abbandonato sul cuscino, gli occhi vacui, persi nel vuoto, sbarrati, immobili. Ogni tentativo di salvarla risultò vano e mia nonna, da un giorno all'altro si ritrovò sola, in un mondo che le incuteva sempre più timore.Camminava per il paese  in preda ad una continua agitazione da quel momento poi diventò  sempre più sospettosa e prudente, per cui questa sua successiva paura la fece vivere in uno stato di infelicità permanente. Con il tempo diventò una bravissima donna di casa, una cuoca provetta ma aveva il cuore in continuo tormento. Divertirsi, per i paesani, era considerato un peccato; solo chi faticava manualmente veniva apprezzato. Ricamava molto bene insieme alle sue amiche Santina, Elena, Berardina, quest'ultima era l'unica che frequentasse il ginnasio a Leonessa. Con l'amica Stefania invece seguiva lezioni di cucito, impartite loro da una sarta che arrivava in paese due volte a settimana. Stefania era una ragazza dalla folta chioma bionda, che raccoglieva sulla nuca ed era ipovedente dalla nascita. Attraverso il tatto, toccando la stoffa con le mani, percepiva la fattura del tessuto e iniziava a ricamare ghirigori con grande maestri. Un episodio significativo che mi raccontava mia nonna che mi è rimasto impresso e si riferiva al giorno in cui Stefania ebbe il menarca e si trovava a casa sua. All'improvviso la ragazza si senti un liquido bagnarle le mutandine, quindi preoccupata, andò in bagno e quando tornò, aveva tutte le mani sporche di sangue." Ti serve aiuto?" le chiese dolcemente mia nonna, alla quale il ciclo era arrivato l'anno precedente e quindi era ben informata." Grazie" rispose lei e  la seguì in  bagno imbarazzata, ma ascoltò le sue raccomandazioni, si lasciò lavare nella tinozza e poi applicare una pezza di stoffa sulle mutande, fissata con due spilli, così come si usava allora, dopodiché, tornarono a ricamare. Sedute alla finestra, per carpire l'ultima luce del sole, prima del tramonto le due amiche se ne stavano quiete a chiacchierare tra loro mentre sostituivano i polsini delle camicie degli uomini di casa. Era un lavoro di estrema precisione nel quale chissà per quale strana capacità sensoriale o intuitiva Stefania era molto abile. Dai racconti che mi faceva mia nonna, credo che mia nonna ammirasse la sua amica, però segretamente.
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Profilo Autore: Arianna Mosconi  

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Noi napoletani le mattine d'estate e quando fa molto caldo...è come se risorgessimo ognuno dal proprio sudario: però mentre pare che stiamo lì lì per soccombere...improvvisamente risorgiamo. Il fatto è che abbiamo i sette spirite comm'ê gatte, cadiamo sempre in piedi e cce nsecchimmo ma nun murimmo: e cchi ce accide a nnuje! Già di prima mattina, cominciamo le nostre conversazioni con i santi; ma non prima di esserci salutati però: "bbona jurnata, donn'Amalia, tutto a posto?" - immantinente giunge la risposta: "cu ll'aiuto 'e Ddio andiamo avanti..." - e ancora, ma stavolta rivolgendosi direttamente a Lui: "Patate', pienzace tu, io stongo ancora aspettanno!" Poi si passa alla madonna: "Maria famme sta' bbuono a mme, 'a famiglia mia e nun te scurdà 'e Peppeniello e di quella santa donna di Lucia... tu saje quanto n'have bisogno!" E già, na vota ca nce truvammo, perché non intercedere anche per qualche nostro parente o conoscente. Quando poi le cose non vanno come avevamo sperato, alziamo lo sguardo al cielo e con i denti stretti, diciamo: "facesse na culata e ascesse 'o sole!" Li salutiamo, li insultiamo e li invochiamo questi nostri santi. Spesso li supplichiamo e po' ce ncazzammo cu lloro quanno 'e ccose vanno storte: e allora giù un folto elenco di imprecazioni. Insomma, i nostri santi, compresa la Madonna e San Giuseppe, ci accompagnano tutta la giornata: non possiamo fare a meno di loro. Ma c'è un santo a noi tanto caro, San Gennaro. 'O vulimmo bbene comme si nce fosse frate, pate o un nostro parente insomma: 'o fatto è che nuje napulitane 'e na manera o 'e n'ata, ascimmo sempe a ppariente. Tutto chiediamo al nostro santo: di darci forza, salute, 'e fa' truvà na fatica ô figlio nuosto. Quando fa troppo caldo gli chiediamo la pioggia: "fa chiovere nu poco San Genna'. "Quando fa freddo 'o cercammo calore: "San Genna' e falla uscire na lenzetella 'e sole!" Insomma, 'e sante se songhe sfastediate 'e ce sentì. Il fatto è che non ce li sappiamo tenere: ogni minuto 'e quarto d'ora li scomodiamo! Ci siamo presi troppa confidenza: 'o dito cu ttutta 'a mana in pratica...e sse sape..."a cunfidenzia è 'a mamma d' 'a mala crianza." In alcuni momenti ci sentiamo abbandonati, ma poi sempre a loro ci rivolgiamo! L'avvenimento importante è la liquefazione del sangue di San Gennaro. Il miracolo viene celebrato tre volte l'anno: il 19 settembre nel giorno della ricorrenza di San Gennaro, il sabato che precede la prima domenica di maggio e il 16 dicembre. Siccome ca sotto sotto ogneduno 'e nuje tene 'a "cudella 'e paglia"...nce sta sempre 'a paura ca 'o sanghe nun se squaglia: mmece no, il sangue di scioglie sempre. Perché noi napoletani...è vero che siamo impulsivi, chiacchieroni, superstiziosi, ficcanaso...ma 'e sante ci vogliono bene lo stesso e c'hanno accettate accussì comme simmo fatte. Nuje priammo sempe 'a madonna ca 'e ccose s'acconciano e poi, quando tutto va male, ci viene in soccorso il nostro innato ottimismo: "storta va deritta vene, sempe storta non può andare." Alla fine, 'e na manera o 'e n'ata, si aggiusta sempre tutto: sempe si pe ttramento...'a morte nun ce sconceca.

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Profilo Autore: Giovanna Balsamo  

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5Aprile – “CONTROSENSI UMANI: VOGLIA DI LIBERTA39; E SCHIAVITU39;” – (Mercoledì  5a di Quaresima) | Massimiliano Arena

Se avessimo un cuore

saremmo incondizionato amore,

amor amato senza prevenirne le azioni.

Se avessimo un grande amore nel cuore,

potremmo suddividerci le opinioni e

con rispetto rispettarne ogni cambiamento.

Se avessimo un cuore innamorato della vita,

saremmo addobbati di colori

e tenderemmo la mano agli amici,

ed hai nemici..

Se avessimo amore a iosa,

in milioni di sfaccettature

lo distribuiremmo come caramelle di miele

ed l'un con l'altro le mangeremmo

senza invidia e senza remore...

Se avessimo pensieri di fratellanza

non vivremmo nell'irriducibile razzismo!


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Profilo Autore: Adele Vincenti  

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L’estate era quasi alle porte ed io e i miei compagni di liceo eravamo intenti a preparare le nostre tesi per gli esami della tanto attesa maturità. I pomeriggi trascorrevano per lo più tra telefonate, messaggi, incontri per aiutarci con le diverse prove scritte e orali simulando ogni sorta di probabile situazione.
Le giornate sempre più ricche di sole rendevano il tutto un po’ meno sopportabile anche a chi come noi si era sempre impegnato con costanza, dedizione e sacrifici per costruire mattone dopo mattone un solido futuro.
Tra una lezione e l’altra impregnate di compiti e interrogazioni riuscivamo però pure a chiacchierare dei nostri sogni e dei nostri progetti, cercando già il modo migliore per realizzarli. Tanti i desideri e le speranze di riuscire, dopo tanto lavoro, a raccogliere già le prime soddisfazioni e i primi successi da usare come appigli nei momenti, invece, austeri o come slanci per affrontare, abbattere, superare le difficoltà che la vita quotidianamente ci poneva o ci avrebbe presentato.
Questo nostro altalenare tra obiettivi e titubanze, chimere e dubbi, divenne alquanto lampante alla nostra professoressa di latino, la quale, nonostante la sua scenica presenza e il suo fare altezzoso, durante una delle sue lezioni dopo averci chiesto di prendere il testo di antologia per esercitarci sulle traduzioni, guardando ogni nostro volto ci disse con tono dolce e ammiccando un sorriso:
<<No, no…non va; non ho intenzione di essere ascoltata da occhi spenti. Riponete libri e quaderni, oggi non si farà lezione di latino, bensì di vita!>>
Aria gelida riempì l’aula. Tra noi scorsero sguardi sbalorditi, quasi spaventati da quella richiesta. Lei, la Tirannica, come la chiamavano tutti nell’istituto (alunni, professori, bidelli…) per la quale era essenziale e prezioso ogni secondo delle proprie lezioni, quel giorno non ne aveva alcuna intenzione! Pensammo fosse una trappola e che ci avrebbe sottoposto ad una delle sue terrificanti interrogazioni o ci avrebbe annunciato un compito “a sorpresa”, come suo solito. E invece no.
Seduta alla cattedra si chinò di lato, prese una bottiglietta d’acqua e ne riempì un bicchiere poi ci guardò nuovamente e tenendolo con mano sollevata chiese: <<Quanto pesa questo bicchiere secondo voi?>>
Noi ci aspettavamo la classica domanda: “Questo bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno?”
Nonostante il nostro pensiero fosse sbagliato, iniziammo comunque ad esprimere il nostro parere e le risposte furono varie, ma nessuna esaustiva.
Dopo un po’ la professoressa ci interruppe: <<Il peso in fondo non è rilevante siccome dipende dal tempo in cui lo teniamo sollevato; più a lungo lo terremo, più il braccio farà male. Il peso sarà sempre lo stesso, ma più tempo terremo il bicchiere in mano, più diventerà pesante e difficile da sopportare. Il bicchiere d’acqua, ragazzi, simboleggia le preoccupazioni, i pensieri negativi. Se ci pensiamo un poco non accade nulla. Se ci pensiamo tutto il giorno, iniziano a farci sentire male. E se ci pensiamo per tutta la settimana, finiremo per sentirci paralizzati e incapaci di fare qualsiasi cosa. Pertanto, dobbiamo imparare a lasciare andare tutto ciò che può farci del male e che ci procura solo dolore.>>

Questa fu solo la prima di tante altre lezioni di vita che la Tirannica, soprannome che alla fine non sembrò più tanto adeguato, ci regalò per affrontare al meglio il futuro che ci attendeva.

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Profilo Autore: Veronica Bruno  

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