Reminiscente ricordo di proverbi, perle di saggezza:
"La lingua non ha ossa, ma taglia carne e ossa."
Verità assoluta che colpisce soprattutto le anime sensibili.
M'è capitato d'incontrarne tante ma, come quella lingua al veleno dai fari molto simili a serpente, mai prima.
Viscida s'insinuava ad ascoltare ma non a capire; conversazioni tra amiche.
Subito come per magia in paese, stile: "Don Camillo e Peppone", notizia non veritiera inizia a girare.
La donna mieteva vittime e sorrideva, "Io di quest'acqua non ne voglio bere, non si dice mai", questo finché non toccò a lei.
Mirò stavolta disgraziatamente una comarella dai modi e fari peggiori dei suoi, ed eccola di nuovo: insinuò per il paese un brutto fatto di "corna", che la fece cacciar di casa dal marito.
La vittima promise quindi di fargliela pagare, perché il fatto non era vero, così un giorno chiese ad un suo amico di aiutarla a compiere la sua vendetta.
Il piano che aveva messo in atto, vedeva l'intrufolarsi dell’uomo in casa della vipera, prima che rincasasse il marito.
Questo avvenne e quando la donna fece per coricarsi, trovò l'amico dell'altra in mutandoni nel suo letto.
Urlò la donna spaventata e nel frattempo, entrò il marito.
Aperta la porta, subito pensò l'avesse tradito.
Immediatamente la buttò fuori di casa.
Giustizia fu fatta facendo felice la comarella.
Son cresciuta a pane e proverbi, nel caso specifico vi do la morale: “Meglio è, non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te.”
Il suo respiro si fece affannoso, mentre dentro di lei un panico sempre più intenso faceva a gara di intensità con un'incredulità istupidita, sapeva che a breve l'avrebbe incontrato dopo quel brusco litigio che determinò la loro separazione. Ma l'idea di poter rivedere i suoi occhi scuri e riascoltare la sua profonda voce, le faceva traboccare il cuore d'amore sul suolo d'asfalto! Per non parlare della voce grondante dal cinismo della sua coscienza che le martellava continuamente la mente, urlandole che sarebbe stato un'incontro puramente spinto dalla pietà di lui unicamente per potersi lavare la coscienza, per averle tanto onta nella sua irruenta impulsività, ma mica per regalarle delle rose rosse e profumate come segno di pace, e anche se fosse stato così sarebbero state delle bellissime rose tempestate di spine pungenti, a farle sanguinare nuovamente le sue emozioni .Non le restava altro che attendere quel momento cinta di ansia che le fuoriusciva da tutti i pori della pelle, e abbracciare ciò che il destino serbava in seno ancora una volta per lei.
Riversa sul pavimento di marmo di marquina, lei in cuor suo era consapevole del dolore sordo che la stava lacerando l’interno del nocciolo del suo essere, così profondo e delicato quanto immenso da perdersi dentro volutamente, e con gli occhi gonfi bagnati dalle copiose lacrime che le rigavano le rosse gote inflitte dal dolore angoscioso, fulminó rapidamente con lo sguardo respirando a fatica col petto stretto nella nella morsa del duolo, quella foto che ritraeva chi fino ad un’ora prima rappresentava tutto il suo mondo. Maledicendo quell’immagine sgualcita dal calore delle sue mani infuocate dalla rabbia, e dal freddo sudore che il suo corpo emanava tremando come se il suolo fosse colto da una scossa tellurica lasciando vibrare tutto ciò che vi era sovrapposto. Strappò con violenza incontrollata quell’immagine come se volesse sfregiare il ricordo di quello che fu origine in lei di tanto amore, per poi riversarlo in chi sapeva concepire dentro di sé quelle emozioni senza eguali, per effondere il cuore di chi la sapeva ancora far sgorgare acqua d’amore che nasceva spontanea da un profondo intaglio in una cresta fatta di cuore, affinché il suo corso di sentimento che dissetava la sua anima s’immettesse nel mar profondo bruciante d’ardore, abbracciando e inebriando in ogni parte il suo amato. Ma ormai consumato e prosciugato dalla delusione di un tradigione compiuto senza rimorso, quell’oceano di passione si trasformava in un vuoto di animosità che pacatamente colmerà con nuovi impulsi inclini alla fiducia verso qualcuno, ed ora non vi era intorno a lei che una fievole speranza nell’oscurità dei suoi triboli, di riuscire ad accartocciare tutto il suo corruccio per rialzarsi lentamente raccogliendo la sua dignità per farne perno per il suo invigorire interiore.Affidó il suo cuore al tempo affinché cura vi possa trovare nelle sue sagge braccia, per ottener sollievo da quel lamento disperso sotto le ali della solitudine, per amore.
Il tavolino era molto piccolo, lo spazio utile per una tazza da caffè e un bicchiere d'acqua. Era ad un metro dalla vetrata che mi permetteva di seguire il passeggio dei tanti sconosciuti, così avrei potuto ingannare il tempo. Mi venne incontro la cameriera. Una ragazza dal seno procace e dai fianchi formosi. Il suo grembiule era macchiato, ma sembrava che lei non desse importanza all'opinione dei clienti. Strofinava le gambe, come se soffrisse di prurito, e vidi che le calze erano smagliate e sporche di rosso.
Ordinai un caffè ed una fetta di torta, anche se non c'era l'imbarazzo della scelta. Quando ritornò, posò in modo maldestro la tazzina e il piattino con il dolce. Non si scusò e meccanicamente asciugò il caffè che aveva versato con uno straccetto lercio. Mi scrutò come se volesse rimproverarmi perché la fissavo. Notai che il proprietario del bar aveva le dita rossastre e collegai il tutto... La ragazza continuò a strofinare le gambe per asciugarle. Avrei dovuto chiedere un rimborso? Pagai senza avere consumato e mi alzai per uscire. La cameriera mi gridò dietro con voce volgare: " Torni a trovarci! ".
"Sono sempre di umore tetro, e spesso piango..." continuò a dire.
"Con me perderesti la tua meravigliosa voglia di vivere, il tuo eccezionale entusiasmo per qualsiasi cosa, piccola o grande! Ti rovineresti la vita. Dammi retta Gioia, allontanati da me finché sei in tempo!".
Gioia ascoltava senza parlare le parole di Dolore, guardandolo intensamente negli occhi e sorridendo.
"Ecco vedi" disse Dolore "cosa ne sarebbe del tuo splendido sorriso se tu mi stessi sempre vicino?".
"Dolore, perché hai così poca stima di te stesso? Io ti voglio bene davvero! Voglio essere la tua fedele compagna per sempre! Vedrai che saremo felici insieme!" disse Gioia.
"Ma cosa ci trovi in me Gioia? Come potrei stimare me stesso? Sono debole e depresso! Non reggo il confronto con qualcuno positivo e solare come te! Non posso essere il tuo compagno.".
Dolore a questo punto si era davvero intristito, e cominciò a lacrimare.
"Perché piangi Dolore?" gli chiese Gioia.
"Piango perché è così facile farmi piangere! E poi...anche io ti voglio bene, un bene dell'anima, ma sono costretto ad allontanarmi da te, per il tuo bene!".
Dolore tentò di andarsene, ma Gioia afferrò la sua mano per trattenerlo.
Calde lacrime continuavano a scendere degli occhi tristi ma pieni di amore di Dolore.
Gioia portò la mano di Dolore alla bocca e la baciò.
"Vedi Dolore, io senza di te non potrei neanche esistere!" esclamò Gioia.
"Ma cosa stai dicendo?" chiese Dolore stupito.
"Se non ci fossi tu, se il dolore non esistesse, che senso avrebbe la mia gioia? Se si fosse sempre gioiosi, non si potrebbe neanche apprezzare la felicità. Se si fosse sempre allegri e senza mai problemi, non si potrebbe neanche dire di essere vivi. L'essere umano ha bisogno anche di soffrire. Le difficoltà, i problemi da risolvere, i dolori, aiutano a diventare più consapevoli e maturi, e ad apprezzare le cose belle che la vita ci offre, piccole o grandi che siano, proprio come faccio io!".
Gioia mentre parlava aveva gli occhi lucidi, ma non per tristezza, era commossa per l'emozione e la felicità di parlare al suo amato Dolore.
"Gioia, tu mi fai sentire amato per la prima volta nella mia vita! Ma forse mi stai sopravvalutando. Vedi, anche ora sono triste, mentre sono vicino a te e ascolto le tue parole benevole, mentre stringi la mia mano e percepisco il tuo amore per me! Dovrei essere felice, ma la mia natura me lo impedisce! Tu non mi vedrai mai sorridere, te ne rendi conto?".
"E tu non mi vedrai mai triste e infelice!" esclamò Gioia con un raggiante sorriso!
"Dolore, io e te siamo i compagni perfetti. Abbiamo bisogno l'uno dell'altra. La natura ci vuole insieme. Siamo fatti per compensarci a vicenda. Io rappresento il tuo opposto, ma so capirti e apprezzarti come nessuno può fare! Per te vale la stessa cosa nei miei confronti! Io ti amo e tu mi ami, non potrebbe essere altrimenti!".
Dolore restò in silenzio per qualche istante. Ormai aveva compreso. Gioia era davvero la sua compagna!
Si abbracciarono stretti stretti, e si incamminarono mano nella mano sul sentiero della vita.
Gioia sorrideva, e Dolore piangeva.
In conclusione, lo scardinamento piroclastico dell'avifauna del cretaceo superiore si compenetra fisiologicamente in una sorta di bruxismo orodentale finalizzato, senza tema di smentita, ad una spettacolarizzazione scenografica degna della migliore cinematografia dei cineclub della Corea del sud con sottotitoli in thailandese maccheronico...azz..forse è meglio non esagerare con la peperonata di sera.. sssallve!
c'accumpare dint'ô scuro 'e notte.
'E matina sta ncielo annascusa,
po' s'appresenta verzo mezzanotte.
Mmiez'ô cielo splennenno s'affaccia,
quanno 'o nniro ogni lluce s'agnotte.
Si 'a fisse pare ca te guarda nfaccia,
te fa ll'occhiolino e nu vaso te votta.
S'avvanta 'sta lunella spucchiosa,
orgogliosa s'appiccia e s'allumma.
Cu nu gruosso penniello pittato argiento,
votta ragge 'int'ô mare, dint'ô sciumme.
Quanno ê bbote se mette 'e travierzio
va scutulianno 'e vvele d' 'e vvarche.
Sbrunzulea 'e rrezze d' 'e marinare,
quacche ppesce curiusanno se mbarca.
Che ddice 'sta lunella appassiunata,
quanno 'int'ô scuro te porta n'ammasciata.
Te vene a ddicere cose che nun hê sentuto,
te parla e quacche ccore 'nnammurato.
Che vvo' 'sta luna ntristita e spirciusella,
ca se ncupisce quann'o tiempo è bbrutto.
Se mette nfaccia nu gruosso farzuletto,
po' manu mano 'e llacreme s'asciutta.
Che vvo' 'sta luna a fforma 'e cunnulella:
fa 'a ninna nanna pe se fa vucà da 'e stelle.
Che vvo' 'sta luna timmida e scurnosa
ca se fa rossa quanno 'o sole tramonta.
Se fruscia, comme si fosse 'a cchiù bbella
e sse nne va nun appena 'o sole sponta.
Che vvo' sta luna tonna e 'mpurtante,
bussola de 'o marenaro e de 'o navigante.
Sott'â luna barcullanno n'omme mbriaco,
surzianno se guarda na grossa bbutteglia.
Tutt'attuorno pare tutto triste e ssulagne,
pe ttramento 'a luna guarda e vveglia.
A ll'intrasatto ogni ccosa se raddoppia...
...e 'o mbriaco cu ll'ombra soja fa coppia.
Nun è ssulo e nun penza cchiù 'a sfurtuna:
pe ccumpagne tene cielo, mare e ddoje lune.
Già ero pieno di Hemingway per i fatti miei che non mi ci voleva proprio questo Balzac al cuore!
Per calmarmi mi presi due pastiglie di Mauriac e mi addormentati continuando a Rousseau tutta la notte facendo uno strano Sontag, di un tizio col naso Camus che con un Brel sotto la pioggia e sopra una Montaigne , stava mangiando un bel pezzo di Zola. Stranamente mi risvegliai con il Pennac in tiro... che mi venga un Cocteau!
Ah, che Baudelaire! Ho già Dumas grossi così!
Sapete che vi dico? Ho deciso di Voltaire pagina e per finire in bellezza questa Bataille, me ne andrò a Beauvoir un bel Hugo al bar Apollinare e buon Sartre a tutti!