“Transumanar significar per verba (1)
non si porìa…”, però chi poëtando
va alla fioca lucerna camminando
con anima ignuda e favella acerba,
transumanare cerca non in cielo
ma in questo angosciante mondo in sfacelo.
Senza quel Dio qual il Poëta intende
ch’io non so riconoscer come mio,
transumanar è quest’imo desio,
significar proprie umane vicende
che ci impregnano ancora vagabonde
e i sensi che di lor il cuor nasconde,
e di parole dar schiaffi o carezze
tra complici poeti nel virtuale,
consonanza poetica amicale,
esprimendo dolori o frivolezze,
un divino minuscolo e profondo
corpuscolo di polvere del mondo
ove sperdersi e chiamare altre voci
nel breve tempo di scrivere un sogno
di lasciare propria traccia un bisogno,
narrazioni gradevoli od atroci
di quest’umana vita, solo umana,
gentildonna talor, talor puttana.
(1): La Divina Commedia. Paradiso, Canto I, v.70
Commenti
Bella poesia, mi è piaciuta assai.
Qualcuno si chiederà se ne vale la pena, oggi nessuno più compone in versi e rime, neppure coloro che sono considerati grandi poeti. Ma il punto sta proprio qui, secondo me. Paradossalmente sostengo che rinunciare a versi e rime non tutti se lo possono permettere. Bisogna essene capaci, per emergere.
Bene o male la forma compositiva "classica", quella accantonata nella prima metà del novecento, dà smalto ai puri dilettanti come me. E poi è una sfida che, appunto, mi diletta.