Una lunga strofa di endecasillabi a rime baciate, un’altra più breve a rime scombinate
Infuso di una nuova giovinezza
in calice d’atavica saggezza
volli bere di te, lacero e stanco,
unica dea ch’oggi ancor al mio fianco
giace in questo mio talamo d’ulivo.
cui fo ritorno, eterno Ulisse schivo,
che stasera profano in solitudine
sopraffatto da insolita inquietudine
e mi concedo vaghe nostalgie
di sirene e non colte lor malie,
e si destano dormienti desii
di arrivederci conclusi in addii,
di tutto quanto avuto e poi perduto
amaro rammentar del mio vissuto,
o non ho avuto e vivere vorrei
per archiviarlo tra i ricordi miei,
di ciò che sorte mi avrebbe serbato
se quel dì proferir avessi osato
parole per pudore sottaciute
o far quelle carezze trattenute,
se d’un bacio l’invito sottinteso
eluso non avessi e disatteso.
Stravagante nel tempo mi abbandono
risalendo tentoni antiche strade
finché lento un sopore mi pervade,
del silenzio vieppiù crescente il suono,
e m’immagino Moira di me stesso
che va tessendo un filo più dimesso,
dipanando chi son e allor non ero
per tornar a quel ch’ero e più non sono,
quel giovane rampante calimero.
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