“Deus sive natura” (Spinoza). L'essere della natura ci sfida con i suoi enigmi ma la natura dell’essere è l’unico e ultimo mistero.
Dire “enigma” non è dire “mistero”:
l’enigma ha razionale soluzione,
una sola esaustiva spiegazione
ove ben applicato fu il pensiero,
e se la soluzione non arriva
ci dice la ragion che questa c’è,
quand’anche il pensier vada alla deriva
e non possa approdare a quel perché.
Ma il mistero è ciò che non ha accesso,
non si risolve ma talor rivela
in qualche del pensier imo recesso
parte di sé al chiaror d’una candela
ove più che ragione, religione
azione rischiarante può giocare,
di cui l’anima ha solo percezione
che in campo oscuro par baluginare.
Ma il mistero ha confini indefiniti,
difficil è a parole raccontare
ove i pensieri brancolan smarriti,
un mar ove inquietante è naufragare.
Sfuggente ad ogni nostra dimensione
quell’Essere che forse è il solo Dio,
mistero senza alcuna soluzione
mistero in solitudine dell’Io.
Dire “enigma” non è dire “mistero”:
l’enigma ha razionale soluzione,
una sola esaustiva spiegazione
ove ben applicato fu il pensiero,
e se la soluzione non arriva
ci dice la ragion che questa c’è,
quand’anche il pensier vada alla deriva
e non possa approdare a quel perché.
Ma il mistero è ciò che non ha accesso,
non si risolve ma talor rivela
in qualche del pensier imo recesso
parte di sé al chiaror d’una candela
ove più che ragione, religione
azione rischiarante può giocare,
di cui l’anima ha solo percezione
che in campo oscuro par baluginare.
Ma il mistero ha confini indefiniti,
difficil è a parole raccontare
ove i pensieri brancolan smarriti,
un mar ove inquietante è naufragare.
Sfuggente ad ogni nostra dimensione
quell’Essere che forse è il solo Dio,
mistero senza alcuna soluzione
mistero in solitudine dell’Io.

Commenti
Mi ha invece colpito la tua seconda osservazione, in quanto, pure da ateo, mi sento molto più vicino al mistero dell'essere, e molto più rispettoso, di tanti che si riempiono la bocca di un dio fatto a nostra immagine e somiglianza al quale affidare i conti finali dei nostri comportamenti. Uno strumento minaccioso (o consolatorio) al servizio di chi vorrebbe controllare non solo le persone fisiche e i loro comportamenti, ma anche il loro stesso pensiero e il loro modo di sentire.
Invidio chi crede davvero. È una fortuna che aiuta a vivere. Ma alla fine è prevalsa in me una visione storicistica e, prima ancora, psicobiologica delle religioni.
Sul tema ho scritto molti testi "poetici", pubblicati anche qui. Quello forse più tosto, anche se solo indirettamente religioso, è "Contingenza della nostra identità".
Condivido il tuo approccio: o si crede o no, senza spiegazione, mistero della fede. Ma c'è anche un mistero della non-fede, anch'esso coi suoi tormenti.
Ma ciò che non sopporto è lo stupore, l'incredulità, quasi il fastidio, se non l'implicita condanna, di molti credenti nei confronti degli atei o anche solo degli scettici. Quasi fossimo degli eretici o, quanto meno, degli amorali predisposti all'immoralità. Ho avuto pessimi e non credibili esempi di ministri di ogni culto, d'ogni ordine e grado e di ogni epoca.
Ma la mia non è una rivalsa. E non è neppure un "no perché no". Credo che chi crede debba fare un ulteriore passo indietro (o avanti, secondo i punti di vista) e scrollarsi di dosso ogni motivazione storica o rivelatoria per attingere solo al Mistero, della fede e della non-fede.
Non discuto la "religio" nel senso latino del termine, anch'io ho la mia. Sostengo il fatto che le tre religioni monoteistiche ("abramitiche") , indipendentemen te da come sono nate, sono tutte diventate, subito o molto dopo, strumento di potere, di oppressione, di sopraffazione e infine di soppressione del libero pensiero.