Come un angelo mi tieni per mano, mi dai coraggio, mi fai sorridere.
Perché una lacrima può essere non solo di tristezza, ma anche di felicità.
Il mio cuore galoppa e le emozioni percorrono ogni mio attimo.
Un bacio sa di zucchero filato e mi sento bambina e corro attraverso un grande prato.
Mi perdo nei tuoi abbracci, mentre una farfalla si posa sulla mia spalla delicatamente e tu, mi guardi con occhi profondi.
Perché gli occhi diventano luce pura, come tante stelle nella notte.
Luce che brilla nella mia anima, sempre più.
Il respiro sembra fermarsi, il mio corpo trema, fino a che diventiamo un' unica cosa.
Anche nella tua guancia si forma una lacrima, la tocco e la farfalla passa dalla mia spalla al tuo viso.
Vola, tra i nostri baci e carezze, vola felice e spensierata.
Il cielo poi si riempie di farfalle di ogni colore!
Anche loro hanno trovato l' amore!
era forte, lo sentiva
attraverso i suoi sensi
supplicava di poterlo
tenere che nessuno
glielo portasse via
ma il suo dolore era immenso
tremava buttando
ciò che aveva vicino
gli si annebbiava la vista
ed il controllo perdeva
lo amava moltissimo
quel fiorellino biondo
che soffriva, non poteva
dimenticarlo, nel cuore
le era rimasto in una canzone
Restò li, ad ascoltarla, in un locale
dove il tempo di colpo
indietro andò piangendo
amaramente, per averlo perso
In ogni uomo cercava suo padre
cantavano insieme, facevano tutto
insieme, per lei era mitico
uno scrittore sostituito al di là dei ricordi
vivi e mai spenti, con la luce sfuocata
Mi sono ispirata ad un film visto ieri sera
Milos tra le braccia di Kronos tra le spire di Kairos
«Milos visse nella sua isola lontano dai tempi, vicino a ciò che amò, inseguendo i giardini dell'amore.
Ancora oggi il suo canto d'amore accompagna l'aria della sera e il vento lo trasporta dove dormono gli amori, ancor oggi il mare parla di lui nelle tempeste e nelle bianche onde che si infrangono sugli scogli.
Questo fu Milos poeta E questo il suo canto di lacrime…
Pianse il sentire nel cambiante suono di solitari passi esuli dall'essere, presenti nell'assenza, assenti nel presente e nella solitudine del poeta tutto cominciò a morire».
Io Milos
Morì la sensazione della sete,
perché da tempo non avevo più sete.
Morì la sensazione del caldo,
perché da tempo non avevo più caldo.
Morì la sensazione del freddo,
perché da tempo non avevo più freddo.
Quando non ebbi più tempo per le sensazioni,
nacque il tempo delle insoddisfazioni.
Perché tutto è relativo a esse.
La relativa percezione mutò nell'analisi interiore del tempo,
del proprio tempo vissuto.
«Quando il non tempo restituì al tempo me stesso e la porta dell'oscuro tornò a misurare l'umano agire passarono istanti o splendenti soli in cui l'agire avvenne senza avvenire in un reale che non fu reale.
Allora apparvero terre lontane e fuochi in quel che rimaneva dello scibile del pensare».
Il nulla
Terre vidi,
rosse come il fuoco.
Terre vidi ed esse furono incendiate da scrosci d'acqua.
Scrissi versi per te,
ti chiamai amore.
Nomi urlai al vento,
nulla servì a placare l'ira delle anfore di creta,
no, nulla servì.
Servì il nulla a dar tormento.
Il nulla tramutò l'essenza che, piegandosi alle ragioni, riscoprì il perso equilibrio.
Bilico.
Bilico tu sei per me,
pozzo senza fine.
Mare d'un tempo passato.
Bosco di stoppie.
Pane scialbo.
Bilico sei per me,
o dissipata tristezza
d'uno stupore ritirato.
«Apparve chiaro il legame con le terre e con l'amore che esse aveva irrigato,
mentre il tempo scompariva dal reale»
Bianchi Gelsi scrissi
Bianchi gelsi
d'adorne terre e cadenti foglie.
Nella casa dell'edera trovo voi,
da rincorsi sogni nell'anima flessi.
Vissi nel tempo del fu.
Fui tempo nel palmo di mano.
D'uno spento falò sfiorai lo scritto,
lasciando al tepore storie d'accesi deserti.
Vedo ancora i petali che ricoprivano i tuoi seni
sussultare nell'infinito scritto,
dall'impudico ghibli trasportati.
Or leggo il dorato profumo di Babilonia
tra pensili giardini e sussurri d'acque.
«Ecco che l'amore inondò le terre dello spirito e fiumi di esperienze
dettero linfa nuova all'amore vissuto».
Tempo
Tempo fu languida mia ricerca sul corpo tuo di giada,
immerso in rubini, fra cascate di smeraldi,
fontane d'ametiste e diamanti.
Sfregai lampade d'argento.
Divenni mito per assaporare i tuoi baci,
viaggiando sulle scie dei millenni.
Sì, fu tempo e ora che tempo non è più,
per te cucirò principeschi abiti con i versi delle fiabe.
Per te scriverò l'infinito libro dell'amore.
Per te imprigionerò l'essenza degli astri
e nell'estasi degli occhi tuoi,
finalmente vedrò le mille e una notte.
«Bianchi gelsi d'adorne terre,
son qui sdraiato a guardar di voi perdute guerre.
E dall'amore passò l'anima a volteggiare nel tempo in cui il tempo era tempo
senza tempo, tempo in cui contava la qualità del vissuto».
Kairos
«Nel tormento dell'incerto assoluto comparve l'estasi del dolore che trafisse l'anima con lunghe spine.
Rese viva l'esistenza, le concesse la forza del pensiero, indusse ogni singola emozione verso i “sentieri dell'anima” che portavano alla quiete dello spirito dopo un vagare triste e incerto.
In una notte, notte senza tempo, si materializzarono ancestrali vicissitudini, tra lampi e tuoni tremò l'intelletto e il verbo divenne amore.»
Se dovessi rincorre la solitudine d'una luce accesa,
spegnerei quella clessidra di vetro,
da troppo tempo logorata dalla polvere d'una stella cadente.
Se avessi la forza di graffiare le infinite trame tessute
dalla tristezza scolpirei sulla sabbia i tuoi occhi di cristallo.
Se la malinconia d'un vascello in fuga verso l'orizzonte,
ascoltasse i nostri lamenti, costruirei una piramide per racchiuderli dentro.
Se gli interminabili se che camminano insieme a noi,
rimanessero solo dei se, troverei il coraggio di sussurrare il tuo nome al vento.
Se un raggio di sole riflettesse nel tuo sguardo il labirinto che ci imprigiona,
vagherei per l'eternità alla ricerca del tuo amore.
Se ancora una volta potessi sfiorare con le mani il tuo viso,
resterei lì fermo a osservarti per ore nel silenzio d'una tempesta.
Se negli stralci di queste frasi potessi cancellare le incertezze,
forse mi ritroverei accanto a te.
Se d'un tratto scomparissero i vampiri che volano nelle stellate notti,
rimarrei ancora con te su quella panchina triste e fredda.
Nel calore d'un acceso fuoco annegherei il mio amore e con
infinita dolcezza cullerei i tuoi meravigliosi occhi di cristallo.
«Milos piange ciò che non si può piangere»
Gocce di rugiada lentamente scesero giù dalle foglie,
sguardi lontani s'intrecciarono, s'osservarono.
Piccole ombre nascosero il volto.
Lontano un bagliore scoprì gli occhi.
Immagini sbiadite, lassù vissero ancora.
Burattini come equilibristi corsero lungo il filo della vita.
Risero, piansero, poi in silenzio morirono.
Grida nel silenzio, qualcuno ascoltò.
Nell'oscurità occhi di cristallo brillarono, sorrisero.
Ancora una notte trascorse, una notte senza tempo.
«Continuò la tempesta s'aprirono porte e finestre, si chiuse l'anima in se stessa a cercar riparo dalle folgori. Il tempo si tramutò e nel passato annegò mentre fuori tutto era scuro. La notte urlò, il cuore sanguinò».
Ti cercai nei crepuscoli estivi, ti cercai sulle spiagge deserte.
Il vento spazzò via i tramonti lunari, piegò in due evanescenti realtà,
soffiò sul tuo viso di rugiada, dove eri?
E dove erano i tuoi occhi di cristallo?
Dirupi immensi intorno a me, scogliere di ghiaccio si sciolsero,
sussurrarono il tuo nome.
Eternità latenti dipinsero paesaggi lontani,
sprazzi d'azzurro cancellarono i solchi della vita,
piccoli ramoscelli s'intrecciarono.
Tenere foglie sorrisero alla terra.
Sensazioni fuggevoli piansero.
Echi dispersi nelle nebbie di tempeste stellari
ricordi velati da rigagnoli di sabbia,
fiumi di papaveri imbevuti di rosse emozioni ti invocarono.
Ti cercai sulle rocce dei sentieri, sulle ali delle statue,
ti cercai nelle maree scolorite della sera, ma invano gridai,
mi disperai.
Invano mi chiesi dove eri.
Fruscii d'un tempo immaginario soffiarono lontano.
Sprazzi d'azzurro scomparvero all'orizzonte.
Ricordi persi nelle notturne tenebre, ricordi sospesi, immagini stampate
sulle onde dei mari.
Pensieri... Solo delusioni dimenticate in un angolo
Guardai lontano nel tempo, rividi un volto, ricordai.
Poi chiusi gli occhi e sognai.
«Il sogno trasportò, ma quando la qualità lasciò tempo reale l'anima si chiuse e tutto divenne cupo vivere nello scorrere del tempo, un tempo vissuto...»
Kronos
L'alba della vita
porta in sé scritto il mesto tratto della morte.
Come in un viaggio inesistente scorrono immagini
vissute in altre vite.
Immagini spente
forse mai esistite.
Un evanescente fumo di candela accompagna
l'osservare stanco e vecchio della notte.
Un filtro magico che ridà esistenza
a cartoline sbiadite del passato
che bussano alla porta dell'anima
affrancandosi dal trascorso tempo
cercando un conto mai pagato alla nera falce dell'assurdo vivere.
Sfiorano spazi vuoti saturi di tristezze latenti i momenti
che tali non sono più.
Ti rivedo immersa nella nebbia,
tra righe tracciate e corde di canapa tese.
Rivedo percorsi mai vissuti,
assurdamente vivi che grondano sangue da dorate coppe,
irrigando strazianti ferite insonni.
Dormi accanto a me,
mentre le tempeste risuonano sulle rosse terre.
Dormi nel silenzio di questa scura ora,
ora che non conta
contando d'essere ora scandita dal tragico ballonzolare
d'una tremola luce.
Rendo indietro l'anima
correndo fra lontane grida e risa
che lente affiorano dal buio.
Rendo discorsi non fatti
appendo parole su panchine vuote,
appendo una goccia di rugiada
a un arrugginito lampione.
Come morsa che stringe il pensare
costringendolo in una lugubre prigione,
cosi il pensare attanaglia il vedere mesto d'un giorno di pioggia.
Dissi d'esser vento impetuoso
che dal mare dell'orgoglio venne.
Dissi d'esser polvere trasportata dalle mattutine brezze
nell'eden delle immortali passioni.
Dissi d'esser tutto non immaginando d'esser nulla.
Se il nulla fu nulla,
allora l'abbracciai in una vita non mia.
Se le nenie suonate da legni intrisi d'odio
bussarono alle porte del tempio dell'oblio.
Se tutto questo ebbe la sua ragione,
allora vissi morendo ogni piccolo istante,
senza aver mai compreso d'esser vivo.
Addio mio dolce sentire,
ti lascio solo in questa notte illuminata da una fioca luce.
Addio io torno ad addormentarmi nel sonno del non ritorno.
«Dormi poeta nel tuo sonno senza sonno, dormi nel tuo non tempo, l'unico che ti fece vivere nel tempo.»
«Nell'andare verso nord, sotto la cintura delle Alpi, un crogiolo di case riempie la pianura veneta, qui vi scorre irrequieto il Bacchiglione attraversando le terre del Palladio e gli Euganei colli fino al Patavino capoluogo dove si dirama fino a toccare il Brenta dolomitico e di là va poi a trovar sbocco in quella che chiamano laguna di Venezia.
Guarda l'altopiano d'Asiago dai sui erti monti il comprensorio sottostante invidioso della nebbia che frequentemente lo riempie.
Non lontano dal luogo di nascita del Mantegna se ne sta il borgo che m’accoglie con la sua torre comunale e il campanile della vecchia chiesa.
La vista che accoglie volge in fronte al colle della Madonna ai piedi del quale, prima d'iniziar la salita che al parco regionale porta, si trova l' Abbazia di Praglia, con la sua millenaria storia.
Al suo interno la biblioteca nazionale ospita molte delle opere di Antonio Fogazzaro lasciate in eredità ai monaci Benedettini, un suo romanzo fu ispirato ai luoghi stessi»
V'era una stradina nel luogo di mia dimora che amava circondarsi d'orticelli così piccoli e quadrati da sembrar quasi una grande scacchiera dove qualche alto stelo di pomodorini si dava aria d'essere il re e delle verdi zucchine pensavano magari d'esser regine e tutta la corte erano poi i vari ortaggi di stagione.
Codesta picciola viuzza s’inoltrava formando uno stretto sentiero all'interno d'un bosco di tigli e querce che a cintura circondava un lago dalle acque verdi e chiare.
Percorrendo quel cammino, sotto un arco di rami intrecciati, s'andava all'interno della vegetazione fin quando poi non si godeva di stupenda vista.
Un casolare antico nascondeva la via d'accesso, rendendo quei luoghi riservati e nascosti al rumore e agli affanni del quotidiano vivere.
In inverno la terra, intrisa d'umido e nebbie ricorrenti, si presentava tanto fangosa da rendere l'accesso al lago meno agevole.
Spesso andavo per esso accompagnato da raminghi pensiero e in quel venire di cercati ricordi dettavo al mio diario sensazioni di melanconiche vedute.
Pensieri sfiorarono i tuoi sensi.
S'ammantarono di fresca
mattutina bruma,
in un insolito gennaio
che al freddo rideva di sé,
fra nuvole e spogli campi.
«La vecchia chiesa pareva diroccata seppur d’essa s’udiva ancora il tocco delle campane, qualche scoiattolo, balzellando qua e là, raccattava bacche per poi scomparire nel nulla del sottobosco o su alte fronde che miravano più alla luce che al fosco umido della natura sottostante».
Arrivò un tenue sole,
s'accese di pallide
sensazioni la strada.
La percorsi
scivolando sull'erba,
ma non trovai ragione alcuna
per essere lì.
Nella distrazione d’un istante perduto
colsi dalla fresca terra un cuore.
Pareva ancora pulsare.
Cercai d’accudirlo con amore
prima di riporlo in me.
«Frastuoni velati provenivano da germani che dell’acqua non pativano il gelo e forse nemmeno esistevano se non in qualche anfratto boscoso della mia mente. Ero solo con me stesso avvinghiato agli scricchiolii che le scarpe concedevano alla pietraia bianca e scivolosa»
Pensieri sfiorarono
i miei sensi in gennaio
ma non raggiunsero
mai i suoi.
Di me ella era fantasma senza voce
carisma imprescindibile
del mio calamaio.
Le portai indietro il cuore,
ma un altro ne possedeva
e non il mio.
«Allora scrivevo steso su di una radice che tra le secche foglie usciva fuori a curiosare fino a morire con il suo legno nell'acque del lago.
Nulla poteva il freddo su un uomo già freddo e inerme.
Mi tenevano compagnia i canti dei miei perché e immaginavo primaverili merli che gironzolavano qua e là in cerca di vermetti e qualche anatra di cui mi divertivo a imitar verso.
Era una natura perfetta tanto da rendere lo spirito giovane e sognante seppur il grigio e la nebbia circondavano ogni cosa»
Mentre una brezza leggera
dal lago saliva
dal taschino presi un cuore,
smarrito per caso
nella bruma del mattino,
lo baciai teneramente
per poi lanciarlo verso l’acqua più profonda.
E nel far questo
lasciai per sempre quel bosco,
un giorno d'un gennaio inesistente
«Ma i versi a volte finiscono e il freddo spesso risveglia il bisogno d'umano calore.
Quel calore non era molto lontano, la mia casa era poco distante; mi svegliai dal mio sogno, salutai quei luoghi con il mio infantile garbo, raccolsi le mie membra in un unico corpo e m'alzai ancor vivo nei pensieri»
Una notte distrutta
lasciò il posto
a un’alba timida e nascosta,
traversò il mio amore
e io venni a cercarla ancora
in luoghi dove il dolore
trova sempre cura.
Ore senza tempo e tempo senza ore nelle anfore segrete dei ricordi volavano trasportate dal bizzoso Eolo che con l’ausilio dei suoi venti raccontava storie ed emozioni. Esse si rincorrevano sui fili sottili dei pensieri e delle immaginazioni arrivando a rasentare il reale per sconfinare nell’irrealtà di mondi immaginifici. Gli orologi erano divenuti sostanze appese alle caverne del mai e un popolo di giganti li usava come segnali per convertire le ragioni in illusioni.
Potrà mai la forza della poesia superare le barriere e mischiarsi nei racconti tanto cari ai quattro venti che d’ogni vita son padroni...
«Se dovessi rincorre la solitudine d'una luce accesa,
spegnerei quella clessidra di vetro,
da troppo tempo logorata dalla polvere d'una stella cadente».
Se avessi la forza di graffiare le infinite trame tessute
dalla tristezza scolpirei sulla sabbia i tuoi occhi di cristallo.
Se la malinconia d'un vascello in fuga verso l'orizzonte,
ascoltasse i nostri lamenti,
costruirei una piramide per racchiuderli dentro.
Se gli interminabili se che camminano insieme a noi,
rimanessero solo dei se,
troverei il coraggio di sussurrare il tuo nome al vento.
Se un raggio di sole riflettesse nel tuo sguardo il labirinto
che ci imprigiona,
vagherei per l'eternità alla ricerca del tuo amore.
Se ancora una volta potessi sfiorare con le mani il tuo viso,
resterei li fermo a osservarti per ore nel silenzio d'una tempesta.
Se negli stralci di queste frasi potessi cancellare le incertezze,
forse mi ritroverei accanto a te.
Se d'un tratto scomparissero i pupazzi di latta che volano
nelle stellate notti,
mi siederei ancora con te su quella panchina triste e fredda.
Nel sogno d'un sorriso annegherei il mio amore e con
infinita dolcezza cullerei i tuoi meravigliosi occhi di cristallo.
“Gocce di rugiada lentamente cadono giù dalle foglie,
sguardi lontani s'intrecciano,
s'osservano.
Piccole ombre nascondono il volto,
lontano un bagliore scopre gli occhi.
Immagini sbiadite,
lassù ritornano a vivere.
Burattini che corrono lungo il filo della vita.
Ridono, piangono,
muoiono.
Grida nel silenzio, qualcuno ascolta,
nell'oscurità occhi di cristallo brillano,
sorridono.
Ancora una notte è trascorsa,
una notte senza tempo”
La notte urla, il cuore sanguina, dove sei?
Ti cerco nei crepuscoli estivi,
ti cerco sulle spiagge deserte,
dove sei?
Il vento spazza via i tramonti lunari,
piega in due evanescenti realtà,
soffia sul tuo viso di rugiada,
dove sei?
E dove sono i tuoi occhi di cristallo?
Dirupi immensi intorno a me, scogliere di ghiaccio si sciolgono,
sussurrano il tuo nome.
Eternità latenti dipingono paesaggi lontani,
sprazzi d'azzurro cancellano i solchi della vita,
piccoli ramoscelli s'intrecciano,
tenere foglioline sorridono alla terra,
sensazioni fuggevoli piangono,
dove sei?
Echi dispersi nelle nebbie di tempeste stellari
ricordi velati da rigagnoli di sabbia,
fiumi di papaveri imbevuti di rosse emozioni ti invocano,
dove sei?.
Ti cerco ancora sulle rocce dei sentieri, sulle ali delle statue,
ti cerco nelle maree scolorite della sera,
ma invano grido,
mi dispero.
Invano mi ripeto,
amore dove sei?
Fruscii d'un tempo immaginario
soffiano lontano.
Sprazzi d'azzurro
scompaiono all'orizzonte.
Sogni persi nelle notturne tenebre,
ricordi sospesi,
immagini stampate
sulle onde dei mari.
Pensieri...
Solo delusioni
dimenticate in un angolo.
Guardavi lontano nel tempo,
rivedevi un volto,
ricordavi un sorriso.
Poi chiudevi gli occhi e sognavi.
Riversa sul pavimento di marmo di marquina, lei in cuor suo era consapevole del dolore sordo che la stava lacerando l’interno del nocciolo del suo essere, così profondo e delicato quanto immenso da perdersi dentro volutamente, e con gli occhi gonfi bagnati dalle copiose lacrime che le rigavano le rosse gote inflitte dal dolore angoscioso, fulminó rapidamente con lo sguardo respirando a fatica col petto stretto nella nella morsa del duolo, quella foto che ritraeva chi fino ad un’ora prima rappresentava tutto il suo mondo. Maledicendo quell’immagine sgualcita dal calore delle sue mani infuocate dalla rabbia, e dal freddo sudore che il suo corpo emanava tremando come se il suolo fosse colto da una scossa tellurica lasciando vibrare tutto ciò che vi era sovrapposto. Strappò con violenza incontrollata quell’immagine come se volesse sfregiare il ricordo di quello che fu origine in lei di tanto amore, per poi riversarlo in chi sapeva concepire dentro di sé quelle emozioni senza eguali, per effondere il cuore di chi la sapeva ancora far sgorgare acqua d’amore che nasceva spontanea da un profondo intaglio in una cresta fatta di cuore, affinché il suo corso di sentimento che dissetava la sua anima s’immettesse nel mar profondo bruciante d’ardore, abbracciando e inebriando in ogni parte il suo amato. Ma ormai consumato e prosciugato dalla delusione di un tradigione compiuto senza rimorso, quell’oceano di passione si trasformava in un vuoto di animosità che pacatamente colmerà con nuovi impulsi inclini alla fiducia verso qualcuno, ed ora non vi era intorno a lei che una fievole speranza nell’oscurità dei suoi triboli, di riuscire ad accartocciare tutto il suo corruccio per rialzarsi lentamente raccogliendo la sua dignità per farne perno per il suo invigorire interiore.Affidó il suo cuore al tempo affinché cura vi possa trovare nelle sue sagge braccia, per ottener sollievo da quel lamento disperso sotto le ali della solitudine, per amore.
"Sono sempre di umore tetro, e spesso piango..." continuò a dire.
"Con me perderesti la tua meravigliosa voglia di vivere, il tuo eccezionale entusiasmo per qualsiasi cosa, piccola o grande! Ti rovineresti la vita. Dammi retta Gioia, allontanati da me finché sei in tempo!".
Gioia ascoltava senza parlare le parole di Dolore, guardandolo intensamente negli occhi e sorridendo.
"Ecco vedi" disse Dolore "cosa ne sarebbe del tuo splendido sorriso se tu mi stessi sempre vicino?".
"Dolore, perché hai così poca stima di te stesso? Io ti voglio bene davvero! Voglio essere la tua fedele compagna per sempre! Vedrai che saremo felici insieme!" disse Gioia.
"Ma cosa ci trovi in me Gioia? Come potrei stimare me stesso? Sono debole e depresso! Non reggo il confronto con qualcuno positivo e solare come te! Non posso essere il tuo compagno.".
Dolore a questo punto si era davvero intristito, e cominciò a lacrimare.
"Perché piangi Dolore?" gli chiese Gioia.
"Piango perché è così facile farmi piangere! E poi...anche io ti voglio bene, un bene dell'anima, ma sono costretto ad allontanarmi da te, per il tuo bene!".
Dolore tentò di andarsene, ma Gioia afferrò la sua mano per trattenerlo.
Calde lacrime continuavano a scendere degli occhi tristi ma pieni di amore di Dolore.
Gioia portò la mano di Dolore alla bocca e la baciò.
"Vedi Dolore, io senza di te non potrei neanche esistere!" esclamò Gioia.
"Ma cosa stai dicendo?" chiese Dolore stupito.
"Se non ci fossi tu, se il dolore non esistesse, che senso avrebbe la mia gioia? Se si fosse sempre gioiosi, non si potrebbe neanche apprezzare la felicità. Se si fosse sempre allegri e senza mai problemi, non si potrebbe neanche dire di essere vivi. L'essere umano ha bisogno anche di soffrire. Le difficoltà, i problemi da risolvere, i dolori, aiutano a diventare più consapevoli e maturi, e ad apprezzare le cose belle che la vita ci offre, piccole o grandi che siano, proprio come faccio io!".
Gioia mentre parlava aveva gli occhi lucidi, ma non per tristezza, era commossa per l'emozione e la felicità di parlare al suo amato Dolore.
"Gioia, tu mi fai sentire amato per la prima volta nella mia vita! Ma forse mi stai sopravvalutando. Vedi, anche ora sono triste, mentre sono vicino a te e ascolto le tue parole benevole, mentre stringi la mia mano e percepisco il tuo amore per me! Dovrei essere felice, ma la mia natura me lo impedisce! Tu non mi vedrai mai sorridere, te ne rendi conto?".
"E tu non mi vedrai mai triste e infelice!" esclamò Gioia con un raggiante sorriso!
"Dolore, io e te siamo i compagni perfetti. Abbiamo bisogno l'uno dell'altra. La natura ci vuole insieme. Siamo fatti per compensarci a vicenda. Io rappresento il tuo opposto, ma so capirti e apprezzarti come nessuno può fare! Per te vale la stessa cosa nei miei confronti! Io ti amo e tu mi ami, non potrebbe essere altrimenti!".
Dolore restò in silenzio per qualche istante. Ormai aveva compreso. Gioia era davvero la sua compagna!
Si abbracciarono stretti stretti, e si incamminarono mano nella mano sul sentiero della vita.
Gioia sorrideva, e Dolore piangeva.
Appuntamento fuori casa di lei alle 15, là proprio a bordo della strada.
Giornata grigia tra le case colorate e le mattonelle quadrate.
È stato un addio amaro e frugale, di quelli che non necessitano molte parole. Si sono guardati negli occhi per pochi istanti e già sapevano. Sapevano che sarebbe successo, lo sapevano da molto tempo eppure erano anche consapevoli del fatto che questa separazione fosse inevitabile. Le relazioni perfette devono finire per avere l’onore di definirsi tali, altrimenti si corre il rischio di sprecare tutto il lavoro fatto fino a quel momento e lasciare le redini della vita al destino che inevitabilmente ne perderà il controllo. Il guerriero nobile si sacrifica per mantenere la propria integrità morale, anche se non ci sarebbe bisogno di provare tutto questo dolore e lo sa bene. Il punto è che il dolore in fondo piace a tutti, anche se non lo si vuole ammettere. Compassione, vittimismo, debolezza, tutti sentimenti che gli umani evitano, ma che sono sempre pronti ad usare come scudo.
La sofferenza ci UNISCE e lo sapevano molto bene i due giovani che avevano deciso di SEPARARSI.
Rapido scambio di parole, facce desolate
lei scende e lui sale.
La strada sembra più ripida del solito, la discesa non è mai stata così pericolosa, la salita così faticosa.
L’amore che ci lega è uno schizzo di colore sulle pareti grigie che fanno da muro alla nostra vita, però le lacrime che riempivano gli occhi dei due innamorati, impedivano loro di distinguere le tonalità vivaci che davano vita a questi muri.
Le gocce di pianto si depositano sul cuore freddo delle persone come la rugiada nelle lunghe notti primaverili sperando anch’esse che un giorno potranno essere la fonte di vita di un nuovo amore.
L’aria fredda che arrivava dalla gola tra i monti lo sorprese mentre si avviava alla fermata dell’autobus che lo avrebbe portato in stazione. Sollevò il corto colletto del giubbotto nella speranza di proteggersi il collo, ma non ottenne il risultato sperato. Ieri aveva goduto di una piacevole giornata di sole che lo aveva convinto di indossare quel giubbotto primaverile e oggi, nella fretta di uscire di casa, lo aveva staccato dall’appendiabiti dell’ingresso con noncuranza. La cartella batteva sulla coscia sinistra mentre affrettava il passo, quasi come un pendolo che scandisce le ore, ma nella sua mente rigurgitava costantemente il pensiero del la ragazza che vedeva da lontano e sapeva di amare. Non aveva ancora avuto il coraggio di fermarla, di parlarle, di presentarsi, ma poi questa mattina si era fatto forza, spinto dai sentimenti e dall’attrazione fisica che lo consumava. Lei era alla fermata, un’apparizione celestiale! Le si avvicinò.
-Ciao…scusami…io sono Stefano. Non voglio importunarti, ma vorrei conoscerti… e invitarti… a fare una passeggiata.
Lei lo fissò con i suoi occhi di cielo, come quando è sgombro dalle nuvole ed è di un azzurro intenso. Stefano ritirò la mano che le aveva teso, provando un senso d’imbarazzo nel capire che lei era rimasta immobile e indifferente.
-Sei un bastardo…sei un gran bastardo! Pensi che io sia così ingenua dal crederti? Tu hai volgari intenzioni, sei un disgustoso bastardo!
Poi girò le spalle e se ne andò, non senza volgere più volte lo sguardo irato verso l’allibito ragazzo.
Stefano, confuso, si ripeteva quel terribile aggettivo che rimbombava nella mente. Era rimasto immobile e impietrito. Lei ormai era lontana, un miraggio nel deserto… Poi si riscosse all’improvviso, quando giunse alle sue orecchie l’urlo sguaiato di un ragazzino che gli gridava a brevi, aggressivi intervalli : -Bastardo! bastardo! bastardo! Sei un gran bastardo!!!
Aveva sentito la risposta della ragazza, mettendo in atto il suo piano criminale. Poi, soddisfatto, si allontanò e riprese la sua corsa in bicicletta. Stefano si ripeteva che era un bastardo e si convinse d’essere un bastardo.