L’estate era quasi alle porte ed io e i miei compagni di liceo eravamo intenti a preparare le nostre tesi per gli esami della tanto attesa maturità. I pomeriggi trascorrevano per lo più tra telefonate, messaggi, incontri per aiutarci con le diverse prove scritte e orali simulando ogni sorta di probabile situazione.
Le giornate sempre più ricche di sole rendevano il tutto un po’ meno sopportabile anche a chi come noi si era sempre impegnato con costanza, dedizione e sacrifici per costruire mattone dopo mattone un solido futuro.
Tra una lezione e l’altra impregnate di compiti e interrogazioni riuscivamo però pure a chiacchierare dei nostri sogni e dei nostri progetti, cercando già il modo migliore per realizzarli. Tanti i desideri e le speranze di riuscire, dopo tanto lavoro, a raccogliere già le prime soddisfazioni e i primi successi da usare come appigli nei momenti, invece, austeri o come slanci per affrontare, abbattere, superare le difficoltà che la vita quotidianamente ci poneva o ci avrebbe presentato.
Questo nostro altalenare tra obiettivi e titubanze, chimere e dubbi, divenne alquanto lampante alla nostra professoressa di latino, la quale, nonostante la sua scenica presenza e il suo fare altezzoso, durante una delle sue lezioni dopo averci chiesto di prendere il testo di antologia per esercitarci sulle traduzioni, guardando ogni nostro volto ci disse con tono dolce e ammiccando un sorriso:
<<No, no…non va; non ho intenzione di essere ascoltata da occhi spenti. Riponete libri e quaderni, oggi non si farà lezione di latino, bensì di vita!>>
Aria gelida riempì l’aula. Tra noi scorsero sguardi sbalorditi, quasi spaventati da quella richiesta. Lei, la Tirannica, come la chiamavano tutti nell’istituto (alunni, professori, bidelli…) per la quale era essenziale e prezioso ogni secondo delle proprie lezioni, quel giorno non ne aveva alcuna intenzione! Pensammo fosse una trappola e che ci avrebbe sottoposto ad una delle sue terrificanti interrogazioni o ci avrebbe annunciato un compito “a sorpresa”, come suo solito. E invece no.
Seduta alla cattedra si chinò di lato, prese una bottiglietta d’acqua e ne riempì un bicchiere poi ci guardò nuovamente e tenendolo con mano sollevata chiese: <<Quanto pesa questo bicchiere secondo voi?>>
Noi ci aspettavamo la classica domanda: “Questo bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno?”
Nonostante il nostro pensiero fosse sbagliato, iniziammo comunque ad esprimere il nostro parere e le risposte furono varie, ma nessuna esaustiva.
Dopo un po’ la professoressa ci interruppe: <<Il peso in fondo non è rilevante siccome dipende dal tempo in cui lo teniamo sollevato; più a lungo lo terremo, più il braccio farà male. Il peso sarà sempre lo stesso, ma più tempo terremo il bicchiere in mano, più diventerà pesante e difficile da sopportare. Il bicchiere d’acqua, ragazzi, simboleggia le preoccupazioni, i pensieri negativi. Se ci pensiamo un poco non accade nulla. Se ci pensiamo tutto il giorno, iniziano a farci sentire male. E se ci pensiamo per tutta la settimana, finiremo per sentirci paralizzati e incapaci di fare qualsiasi cosa. Pertanto, dobbiamo imparare a lasciare andare tutto ciò che può farci del male e che ci procura solo dolore.>>
Questa fu solo la prima di tante altre lezioni di vita che la Tirannica, soprannome che alla fine non sembrò più tanto adeguato, ci regalò per affrontare al meglio il futuro che ci attendeva.
Commenti