Vagavo avvolta da una trapunta di crucci,
alcuni cupi, taluni protervi, a sospirare
tra labbra serrate ricordi contriti.
D’un tratto un sibilo mi ha distolto, mi ha chiesto:
Perché le tue guance sono segnate da scie umide?
Perché non asciughi la salsedine che sgorga dalle tue pupille?
Prontamente ho precisato:
Non è pianto ciò che vedi, ma pensieri
che, liquefatti, mi hanno graffiato il cuore.
Impellente mi ha domandato:
Dunque perché non vedi il mare che ribelle s’infrange,
poiché non patisce per la frusta inflitta
da vento di Tramontana e ti nutri di cotanta forza?
E io solerte:
Sì che miro il suo candore e sazio gli occhi miei
con il suo audace sciabordio, ne faccio scudo d’ali
per non planare ma fluttuare tra nuvole idilliache.
Insistente ha continuato:
Perché non volgi il tuo guardo agli astri
che danzano sul manto nero
e riempi le pieghe del cristallino
di note fulgenti e sideree?
Zelante ho replicato:
Pregno è il mio volto d’ogni fiato di luce
emanato dai loro passi di danza
che leggiadri si imprimono in me.
Meravigliato allor m’ha detto e chiesto:
Quindi osservi il mondo, ne respiri la potenza vitale
eppure ogni dì sei assorta e china su righe bianche. Perché?
Ho risposto:
Perché mentre pettino e sciolgo nodi di interrogativi,
ascolto la mia più intima essenza, te anima mia,
e affido a esse il tuo dire cosicché giunga a chi vorrà allietarsi
con folate di emozioni prive di maschere.
Or che sai, non darti pensiero per la mia malinconia,
è un vaneggio tra ombre che sarà sfrattato con rivoli di poesia;
sospiri di luna, sbuffi di Zefiro, fiotti di spuma
sono complici del mio rapire al tempo fuggevole
l’oro dei tramonti, l’argento di Sirio, i bagliori di Eos…
così lesto sarà il naufragare delle mie pene nell’oblio.