Quel che mi dici non faccio,
da dove posso comincio.
Se poi non devo, mi caccio
in ciò che voglio e incomincio.
Salto nel vuoto se credo,
volo con Icaro al sole,
sotto la pioggia mi siedo,
urlo taciute parole.
Non seguo leggi che imponi,
mi meraviglio del vento.
Nel buio corro a tastoni,
niente mi ferma un momento.
Solo il suo sguardo mi blocca
come se il mondo fermasse:
resta impalata la bocca,
senza sorriso, né classe.
Non più capace a pensare,
provo a sfuggire quegli occhi
che prigionieri san fare
qui nel mio cuore i rintocchi.
Quando rivolta pupille
sembra di cenere il campo,
restan nell'aria scintille
È sol silenzio in un lampo.
Senza capir mi ridesto,
provo a volar senza sosta
Voglio riprendere presto
il mio cercare risposta.
Devo la porta serrare
al suo frastuono doloso,
senza dover più affogare
in quel suo sguardo dannoso.
Getto la chiave nel vento
di quei discorsi fasulli,
ma sol gli basta un momento
per i miei sforzi far nulli.
Commenti
a rime alterne ottonari
che tengono sulle spine
per capir di chi sian fari
quegli occhi sì incantatori
che paiono fuggir via
mentre ne cerchi i colori
con cui dipingon poesia.
scrivo versi sui tuoi lai,
se poi tutto avrò frainteso
spero mi perdonerai.
Narri un rapporto tortuoso
e farlo sai assai bene
col tuo narrar talentuoso
d'un cuor tenuto in catene.
Son catene metaforiche
che però crean disagio,
situazioni un po' solforiche
in cui rischi far naufragio.
Dammi retta, impara a dire
già da questa settimana:
"Vaffanbrodo, tu mio sire,
ché io son di me sovrana.
Grazie Sisifo!