E' vero che si piange per niente,quando in un bel momento tutto quello che hai messo nella tua carne e nella tua mente evapora condensandosi lentamente come il ricordo sfumato di un bel sogno.
Ma è anche vero che la tua coscienza quando sogna si comporta come un attore
e in quella notte dovrai essere buono o cattivo,coraggioso o vigliacco.
Dovrai vedere quello che non volevi,avere e perdere tutto.
Per non parlare dei sogni dimenticati,quelli in cui sai che è successo qualcosa di epico ma non te lo ricordi.Si,ti passa un brivido mentre sei davanti allo specchio o ti allacci le scarpe ma è solo un bisbiglio che si porta via il vento.

Questo però è un racconto masterizzato cioè scritto per essere sognato,poiche solo con il sogno (e quindi distaccato dalla propria vita reale) puoi entrare nelle emozioni e nella testa di altre persone.Perchè nella veglia la ragione,per il tuo bene,ti impedisce di allontanarti dai confini del tuo conosciuto.

IL SOGNO

Dopo 60 km di autobus erano arrivati.

Una suora e un bambino si tenevano per mano passeggiando tra le giostre,come fossero madre e figlio,e in effetti lo sembravano davvero perchè Lei era in borghese con un vestito chiaro.
Quando trovava qualcosa che gli piacesse il piccolo la fermava e alzava il braccio,lei faceva il biglietto e lo accompagnava per l'inizio della sua avventura,e come una vera mamma quando svolazzava su quelle macchine con una mano lo salutava e con l'altra si teneva il cuore.
Erano passate le dodici quando si rimisero in cammino.Dopo una curva all'improvviso l'orizzonte fu tutto azzurro.Si fermarono.
Lei lo guardò ed esclamò: -Ti presento il mare -.
Lo scriccioletto col costumino partiva e ritornava dalla donna saltando e gridando: -E' Bello.E' Bello ! -Per poi riavvicinarsi alle onde che battevano la spiaggia.Quando fu sazio dei suoi giochi gli si sdraiò accanto con la testa sul suo petto e gli occhi nei suoi.Il riso sfrenato si ammorbidì in un sorriso di felicità mai provata.

Puo sembrare strano ma quando si hanno cinque anni un giorno da figlio è la cosa più preziosa che si puo chiedere,e lui le aveva chiesto di essere sua madre non una suora.
Lei aveva capito che quella promessa era da mantenere,anche se le sue braccia nude,le gambe e i capelli accarezzati dal vento le sembravano un salto nel vuoto nel suo spirito la gioa di essere una madre per un giorno le aveva reso più serena quella forzatura.

Ma intanto per far si che non se ne scordasse quella stessa mattina il bimbo si era arrampicato su una sedia sotto la finestra del suo ufficio mimando con l'indice e il medio una camminata scatenandole così una gioiosa risata.Mentre t
utti e due ridevano,divisi dal vetro,le due suore nella stanza che le avevano chiesto udienza e impossibilitate a vedere fuori pensavano che forse di lì a poco si sarebbe reso disponibile un posto da Madre Superiora.

E' quasi giorno e il sogno o gli anni sono giunti lontano.

Lo scriccioleto di un tempo teneva per mano sua moglie,la suora un bambino.

La donna aprì le braccia e il piccolo lasciando la mano della Madre Superiora le corse incontro.Anche Lui,dopo un sorriso e una carezza se lo prese in braccio e con la voce rotta dalla commozione gli chiese ad alta voce - Andiamo al Mare ? - mentre la sua Mamma per un giorno stava allontanandosi con le sue lacrime.
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Profilo Autore: Luciano  

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Ai miei tempi, (sono nata negli anni cinquanta)noi bambini giocavamo con giocattoli improvvisati. Chi non ricorda il gioco della campana, (io la chiamavo "settimana"), acchiapparello, nascondino. Quanto eravamo belli quando giocavamo alle belle statuine! Partiva un'allegra filastrocca: "siam le belle statuine, uno, due e tre." Al termine ognuno rimaneva in una posizione diversa e poi veniva premiata la statuina più bella. Altro che selfie, oserei dire! Spesso aiutati dalla fantasia esploravamo posti incantati. Un ponte levatoio ci separava da un castello misterioso in cui, a seconda delle proprie paure, c'era chi ci incontrava mostri, chi fate, chi gnomi e chi folletti. Io sognavo (a dire il vero non ho mai smesso di farlo), di possedere una bacchetta magica. Non volevo la solita lampada di Aladino: quella che esaudisce solo tre desideri. Io volevo la bacchetta magica, perchè è solo con quella che ti senti davvero invincibile: puoi usarla quando vuoi e poi non devi neanche perdere tempo a ricaricarla. Ai miei tempi eravamo sempre in movimento, perennemente sporchi, sudati e felici. La maestra, l'insegnante, i professori godevano di grande rispetto da parte degli alunni e se malauguratamente uno di noi faceva 'o cattivo, gli insegnanti chiamavano i genitori e llà erano mazzate. Ma non finiva lì perchè i nostri cari mamma e papà, una volta giunti a casa ci davano pure il resto. A gennaio del 1977 nacque il primo televisore a colori e quella fu per tutti una grande conquista. 'A signora d'ô piano 'e sotto, tutta eccitata ci teneva a mostrare a tutti il suo apparecchio: "Signò venite...'a televisiona mia tene 'e culure troppo belle, venite a vedè...guardate!" E poi c'erano le botteguccie dove si vendevano 'e bbarchetelle 'e liquirizia e tante altre leccornie. Con cinque lire ti riempivi le mani, le tasche e gli occhi. Noi ragazzi le "accocchiavamo" in un foglio di carta bianco e le dividevamo. A volte c'è n'era una dispari e per quella facevamo il tocco. "Amblimblò e la lince e la lancia, quanti fiori ci sono in Francia..."C'era una botteguccia all'angolo che vendeva 'nu poco 'e tutto. Noi la chiamavamo 'a puteca d'â sprucida" perchè la padrona quando ci vedeva arrivare faceva 'a faccia tutta storta e addeventata brutta brutta. Nuje 'nu poco 'a sucutaveme però! Spesso, un po' per gioco e un po' perchè nun teneveme 'e sorde, andavamo nella "puteca" a fregarci le gomme e le caramelle colorate. Mentre uno di noi distraeva 'a nonna, ll'ate se regnevene 'e ssacche d'ê ggonne e d'ê cazune 'e caramelle. Spesso 'a sprucida" non se ne accorgeva, ma quanno ce 'ncucciava 'ncoppa 'o fatto, erano castighe 'e Ddio. "Fujmmo, 'a sprucida se n'è addunata", gridava "o luongo (così denominato, perchè essendo il più alto fra noi e avendo una visuale più allargata, aveva l'ingrato compito di fare il palo.)Correvamo a gambe levate, mentre 'a povera vicchiarella usciva dalla bottega con un piede nudo e brandendo fra le mani una pantofola. Lungo la strada echeggiava la sua voce roca: "v'aggia acchiappà" diceva e intanto si sistemava lo scialle zoppicando. Qualche bottegaio sorridendo restutiva alla poveretta la ciabatta che ella stessa nella foga aveva lanciato sul marciapiede difronte e aggiungeva: "songhe guagliune, che ce vulite fa: giocano!"- "'A prossima volta 'e struppeo e po' ve faccio vedè si 'nun ô ffaccio!" - Giocano? Pure j' voglio pazzià, ll'aggia accidere cu chesti mmane, fosse ll'urdema cosa ca faccio...", rispondeva la nonna trafelata, mostrando mani rugose e callose che a tutto somigliavano tranne che ad armi da combattimento. Però io (sarà per i sensi di colpa che provavo...)'na resatella sotto 'e baffe 'a scurgevo. Mi pareva di vedere chella meza resata astretta mmiezo 'e diente. In fondo ci speravo che ci perdonasse. Poi c'era rispetto per i genitori. Ricordo mia mamma che mi chiamava dalla finestra: "Si nun saglie mo mmò te faccio nova nova" - e ancora: "Fa ambresso e quanno trase... jesce 'a parte 'e dinto e ttirete 'a porta." (Fai presto e quando entri...esci dentro e tirati la porta.) Mah! Un linguaggio un po' contraddittorio, a tratti incomprensibile, ma efficace: j' 'nu poco me mettevo paura! Poi ci furono gli scioperi e le manifestazioni del sessantotto. J' me 'nfezzavo mmiezo a tutti i cortei. Lottavo per il lavoro, il diritto alla casa, il diritto allo studio e il diritto ad avere diritti. Neanche io capivo bene per cosa mi battevo, ma di una cosa ero certa: era giusto farlo. Poi divenni femminista e nemica acerrima dei maschi. Mi univo ai cortei e gridavo con tutto il fiato che avevo in gola: "tremate, tremate le streghe sono tornate", - "l'utero è mio è me lo gestisco io." Il sessantotto è stato un periodo di rinascita. Ora è diventato apparentemente tutto più semplice dal punto di vista tecnologico. Abbiamo la televisione, il tablet, lo smartphone e tante altre cose belle. Ora si trascorre gran parte del tempo a chattare con amici virtuali. (Di positivo c'è che su facebook ho incontrato anche belle persone con le quali ho stretto amicizia nel mondo reale.)I rapporti umani si sono molto snelliti. Siamo in un oscuro periodo storico. La disoccupazione ha raggiunto livelli massimi e ci capita di vedere tanto, ma non possiamo permetterci molto e questo è abbastanza frustrante. Insomma, come diciamo dalle mie parti: "steveme meglio quanno steveme peggio." Oggigiorno pare che hai tutto, ma è un tutto non per tutti: è un tutto solo per alcuni. Dieci mangiano e ll'ate guardene. Bei tempi quando giocavamo a nascondino e i tuoi compagni ti aiutavano dicendo: "trentuno salvi tutti!" Ti sentivi un superman o una supergirl. Che bello sarebbe se si potessero davvero salvare tutti come si faceva un tempo! Ora è un po' come passare davanti ad un negozio di dolci e sentire quel profumo invitante che ti esorta ad entrare. Improvvisamente ti prende una voglia matta di farti un'abbuffata di dolci, ma poi ti accorgi che non puoi e allora ti limiti a sentirne solo l'odore...
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Profilo Autore: Giovanna Balsamo  

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La terrazza a mare, quella sera, aveva vestito gli abiti migliori per offrire ai suoi clienti commensali un’atmosfera da sogno. Tovaglie con trine e pizzi di un candore niveo, l’immancabile candela che avrebbe collaborato all’illuminazione del tavolo e a dare quel calore non certo indispensabile per la stagione in corso, l’argenteria sapientemente ripulita che di tanto in tanto rimandava i riflessi di una luce già fievole di per se. Vanitosamente rifletteva questa immagine nelle acque del mare sottostante e, in un fantasmagorico gioco di colori, si confondeva con le luci della costiera che si specchiavano alla sua superficie. Indubbiamente una notte magica, di grandi sortilegi, dove tutto poteva succedere nella più assoluta normalità senza l’impiego di streghe e artificiosità varie. A volte, capita! A volte un grande desiderio che trova ostacoli nella vita, in una di queste sere, trova la sua realizzazione. Una realtà coi piedi per terra ma di sicuro non meno agognata. Il brusio della gente seduta ai tavolini era appena accennato, soffocato, quasi, dal timore di turbare quell’incanto e dall’attesa inconsapevole di essere li li per assistere a un evento bellissimo, fuori da canoni e schemi. E, senza rumori, senza colpi di scena entrarono i nostri protagonisti. Niente corone, niente cavalli bianchi, senza evocare applausi fecero il loro ingresso un uomo e una donna, non giovani, anzi ormai vissuti e felici di mostrare la giovinezza che c’era nei loro cuori. Lei, ancora bella e giovanile, riempiva un vestitino attillato elegante ma semplice che mostrava ancora una sinuosità del corpo invidiabile, non messa in mostra ma solo accentuata dalla predisposizione naturale della sua corporatura. Lui, quasi claudicante, teneva il braccio della sua compagna sotto al suo, ma era abbastanza evidente che fosse lei a sorreggerlo e non di certo per falso pietismo. Si avviarono al tavolo a loro predestinato e Lui, caparbiamente, in barba all’equilibrio che man mano scemava, gli stava venendo a mancare, le tirò indietro la sedia, invitandola a sedere. Di fronte alla donna, un piccolo portafiori che conteneva un mazzetto di “nontiscordardime” predisposti dall’uomo. Un lieve imbarazzo le imporporò le guance quasi fosse rimasta una studentessa liceale di primo pelo. Non durò molto, il tempo che l’uomo se ne accorgesse e con qualche battuta di spirito riportasse tutto alla normalità. Fu in quel momento che le stelle si raggrupparono in un unico nucleo, inviando la loro luce sul tavolo e ponendo il resto della sala in una penombra insignificante. E finalmente i due cominciarono a parlarsi. Non erano più la brutta copia, datata di fidanzatini di Peynet, ma solo due persone con una innata voglia di conoscersi, di scambiarsi sensazioni e pensieri inespressi nell’arco delle rispettive vite, ma che avrebbero voluto trovare ascolto, un ascolto complice e comprensivo. Troppo tardi ? L’orologio della vita correva inesorabile e loro si erano già chiesti se valesse la pena di vivere quelle emozioni proprio ora che stavano per mettere il cuore a riposo. L’attrazione dei pensieri li aveva coinvolti e avevano avuto piacere di condividersi, di apprezzarsi, di sapere che, nella vita esisteva l’incastro adatto per il proprio puzzle. Parlarono senza inibizioni e in assoluta armonia, fino a quando, lui, nelle more della discussione, divenne audace e le prese la mano. Lei lo guardò negli occhi e non ritirò la mano semmai la strinse più forte, quasi quel gesto potesse significare il sigillo di un unione. Furono risvegliati dalla luce degli astri che, avendo ritrovato la loro ricollocazione naturale nel firmamento, erano tornati a illuminare tutta la sala. Si alzarono, lui volle che portasse via con se i “Nontiscordardime” e si avviarono all’uscita che li ingoiò col suo buio. Eppure, sebbene l’alba ormai alzasse il sipario della  vita, ancora….lucean le stelle !
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Profilo Autore: Bronson  

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-Nel mio giardino è sempre primavera e l'amore è un fiore che mai vi marcisce. Essere amati dici è la prerogativa …ma amare è il filo del sempreverde arroccato sul cuore, l'annaffio ogni alba e mai muore e prima che il sole giri le spalle, il girasole si chiude al sonno strambo degli artisti-. "E quando l’arrivo della sera ci coglie di soprassalto, le linee infinite del giallo confondono il cielo e soffiano la loro passione sugli arbusti fioriti, il lillà negli angoli sperduti, il rosso dei papaveri e quello del tuo cuore in fiamme sulle intense trasparenze del tramonto".
-E un girare continuo di sogni mai spenti…un intrigo di piccole foglie aggrappate al davanzale, di giullari che suonano canzoni tra l'erba nel prato infinito-.

"Nel mio giardino è sempre primavera e quando arriva un soffio di gelo, lo riscaldo col fiato dei miei polmoni e poi copro ogni foglia con la maglia di seta azzurra che mi hai regalato l'anno scorso. Come la seta azzurra del mare, quella che indossi scorgendo la spuma di ogni pensiero
intagliando piccoli intarsi nel respiro senza freno che ondeggia al tuo fianco sereno. Nel tuo giardino è tutto spoglio, come nell'inverno del polo o nelle gelide pianure lontane di Nettuno, il cuore è bruno e neri sono gli occhi, chiusi e confusi nelle notti infinite".

-Perché non mi raggiungi laddove perdiamo ogni volta il biglietto senza prima sapere se il viaggio era il primo del giorno o l'ultimo della sera? Ho sbagliato fermata e il rosso si è spento…tutto intorno nessuno mi ha indicato un pertugio, nessuno ha scavato nel pavimento dell'illusione. Tutto è accaduto nel silenzio assoluto...e nessun ranocchio ho incontrato sotto la siepe del bosso-.

"E il principe del paradosso, il colosso smargiasso che hai conosciuto, che fiore ti ha mostrato? O era un frutto tropicale? Cos’è il giglio se non lo scandaglio dell'anima vuota? Siamo essiccati alle pareti delle arterie che portano sangue al cuore, nell'altra faccia dell'amore, scura e invisibile come quella della luna. Ti prego fai entrare la luce, apri le finestre all'ultimo sole del giorno".

-Non c’era un principe e nemmeno un principio, cercavo solo una favola che lenisse il dolore, cui credere a più non posso-.

"La favola della primavera perenne? Lo so, non esiste, sarà bella da raccontare ogni notte prima di andare a dormire nel tuo sogno da fata maldestra, ma è falsa.Ma tu se vuoi puoi tenermi per mano mentre cerco di aprire le imposte polverose del primo piano così puoi vedere il mio doppio e la metà dei miei inganni"

-Ho bisogno di credere allo stesso tramonto, coltivare ancora fiori d'amore ..di quel vento maldestro che occupa spesso il deserto ..se hai voglia invoca per me quella danza…la quadriglia intrecciata di mani ...perché senza sovrani, saremo io e te fuoco e regina .. tu mago e se vuoi, io fatina-.

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Profilo Autore: mybackpages  

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La collina dei lunghi fucili era lì, davanti a lui, come sempre immobile nel percorso della storia; storia di un dì che non ricordo, ma ben visibile nelle mie memorie, quella di un giovane che, come tanti, all'alba era già sveglio per un nuovo giorno.                                                                                                                                                Cuore di giovane, immerso nei propri sogni, nel ricordo di un amore lasciato a casa per un ideale di libertà, pronto, con l’orgoglio in mano, a combattere per ideali altrui, ma, nella sua mente, in quel momento, c’erano soltanto le dolcezze del suo amore per lei, che amava immensamente. Non pensava alla battaglia che lo stava aspettando, non sapeva se quel giorno sarebbe stato un giorno di gloria!                                                                                                                                                                                 Lui, non pensava ciò! Non sapeva che chi avrebbe dovuto affrontare sarebbe stato un altro ragazzo come lui, che, probabilmente, condivideva gli stessi suoi pensieri e non faceva che pensare al proprio amore lontano, alla sua stessa stregua.                                                                                                                                         Memorie confuse turbavano le percezioni di una vita non ancora vissuta.                                                                               I suoi ricordi non erano molti, soltanto quelli di un giovane ancora inesperto, un ragazzo che non sapeva nulla della vita, tuttavia riponeva tutta la sua fiducia in ciò che gli avevano insegnato a credere.                                                                                                                                                                                                       Nella cronaca della storia, quello avrebbe potuto essere un giorno come tanti, di cui il ricordo non si sarebbe soffermato in alcuna memoria, ma non per lui!                                                                                                Si trattava di un giorno speciale, anche se, purtroppo, non avrebbe avuto la gioiosa opportunità di festeggiarlo, così lontano: era il compleanno di lei, il compimento dei suoi 18 anni e, sfortunatamente, avrebbe vissuto la vicinanza di lei solamente come in un sogno, in modo da poterle esternare la totalità del suo amore, almeno idealmente, un amore tanto grande da condurlo a donarle la sua vita.                                                                                                                                                                              Quanti ragazzi stavano crescendo in fretta, troppo, per la loro età adolescenziale, attesi da un vero campo di battaglia, non simulato, come quando erano bambini, dove si affrontavano per gioco, cadendo a terra e morendo, per poi rialzarsi e ripartire a correre più veloci di prima. Distanti dalla fantasia, avrebbero messo il loro destino in mano alla sorte che li attendeva, dove l’odore della polvere da sparo e quello del sangue si sarebbero mescolati in un unico acre odore di morte.                                                                                                                                                                                                      Ma come avrebbe potuto, un giovane, pensare alla guerra, quando il suo cuore stava palpitando unicamente d’amore, un ragazzo pieno d’ardore, con tanta voglia di vivere?                                                                                                           Nella sua mente solo un grido echeggiava” Amore, amore” e più pensava al suo amore, più sentiva scoppiare il proprio cuore.                                                                                                                                                               I suoi occhi non vedevano più niente e le sue orecchie non udivano più, sembrava che tutto quello che stava osservando e sentendo stesse svanendo nel nulla e che la realtà fosse solo un sogno, un incubo angosciante, dal quale s'allontanava, rifugiandosi nella fattoria di famiglia, a poche miglia fuori il paese, ad ascoltare la voce della mamma, che lo chiamava, in un mattino qualunque,  mentre, per tutta la casa, si espandeva quella tipica fragranza della colazione. Con un balzo e in tutta fretta, giù dal letto, la prima colazione e, di seguito, con il padre, a lavorare per tutta la giornata nella fattoria, occupazione che scandiva la sua giovane vita. Poi c’era la sera e c'erano gli amici, il sabato sera, la festa, nella piazza del paese, dove si ballava e là, con Ann, s’incontrava, bella come i fiori che risplendevano al sole della prateria. Mille corse fatte insieme a lei, per poi rincorrersi tra i prati e, sfiniti, cadere a terra, tenendosi mano nella mano e rimanendo a guardare le stelle nel cielo, ricordando quel primo bacio così intenso e mai dimenticato:                                                                                                                                                                                        -Dolce e bella Ann - le sussurrava -Sei nata per me, la nostra storia continuerà per la vita e non ci sarà mai nulla che la possa stravolgere, perché il nostro amore è infinito come il cielo.  Gli squilli di tromba, improvvisi, ridestarono la sua attenzione e fu allora che prese atto della sua illusione.                                                                                                                                                               Trovandosi catapultato in quell'assurda atmosfera, si rese conto che tutto intorno a lui si muoveva forsennatamente, in un gran baccano, stavano per partire in marcia, armati di un fucile, il campo di battaglia non era lontano.                                                                                                                                                      I due schieramenti avversari si trovavano l'uno di fronte all’altro, soldato grigio e soldato blu, ma , in effetti, si palesava solo molta, troppa gioventù.                                                                                                                                              Urla e grida proclamarono l'inizio della battaglia.                                                                                                    Sparò, senza mirare, perché non intendeva uccidere un proprio simile ma, di contro, la pallottola che centrò il suo cuore era partita dall'arma di chi non aveva appoggiato la sua intenzione e, mentre la sua vita se ne andava, un foglio, che stringeva nel proprio pugno, assieme alla canna del fucile, volava via, con la sua anima.                                                                                                                                                                                                     Quel foglietto mi è capitato fra le mani, pertanto ho voluto raccontarvi questa storia, quella di un ragazzo che aveva dedicato questa poesia, al suo giovane amore lontano:

Ciao, mio piccolo amore,

com'eri bella quel giorno che ti ho conosciuta.

Scusami ancora se quel giorno, per nascondere la mia timidezza,

sorridevo e restavo li fermo, ad ammirare la tua bellezza,

perdendomi nei tuoi occhi colore del mare.

Mentre parlavi, gesticolavi con le mani,

facendo si che s’incontrassero con le mie,

allontanando quella distanza che c’era tra noi,

mentre i tuoi lunghi capelli biondi ondeggiavano,

come il grano mosso dal vento, prima di essere mietuto

e una lieve brezza disperdeva                                                                                                                                                               

il tuo profumo di freschezza d’acerba ragazzina.

Sì, mio giovane primo amore.

Tu sei entrata nella mia vita,

strappandomi il cuore dalle radici,

facendomi innamorare follemente di te.

L’aria oggi profuma di te, nei mie ricordi

e la mia mente ti sta pensando, mio giovane innocente amore,

un amore fatto dai sogni di due ragazzini

che pensavano di vivere insieme, per l’eternità.

Solo questo ora è rimasto di te, giovane eroe, solo un sogno e un breve attimo di vita volato via, che nessun libro racconterà mai.                                                                                                                                                                                           La storia della collina dei lunghi fucili, la storia di un'esistenza che non avrebbe voluto morire.
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Profilo Autore: Horion Enky  

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"...Il cancello rimase aperto nei giorni che seguirono, confusi i fili d'erba restavano immobili, che nemmeno la brezza del mattino osava disincantarli.
Terence prese la torcia come ad illuminarsi il cammino, quello che non sapeva percorrere, rotto dai rumori di una parentela che non gli apparteneva.
Con le mani rallentate da un sospetto, si piegò a baciare quel petalo di rosa, così come chiamava la sua fronte.
Marta, le disse, ti aspetto stasera, lontano dalla luce del sole, dopo il crepuscolo i nostri sogni prendono parte del mondo fuori di noi, ti aspetto quando il vento 
educato della sera scalderà le nostre cose.
Ho da togliere le mie ombre che si muovono diverse ma che ti appartengono.
Non percorrere il campo, passa al di là del fiume, là tra i ciottoli bianchi e piatti e non farti male; prendi con te la sciarpa e copriti i capelli.
Terrò la lampada accesa accanto ai gerani che tu portasti quel giorno.
Sai, sono fioriti e incredibilmente profumano due volte, di loro e del colore.
Lei si voltò come sapeva già fare, come il sole che impiega il tempo a spostare le ombre di qualcosa sul muro.
L'amava già mentre vide che andava al passo soave sulla ghiaia, come il rumore dei coriandoli che piano toccano il suolo, uno dopo l'altro, uno dopo l'altro.
L'aspettò nei tempi e nei silenzi, nei crepuscoli e nelle mute aurore; l'aspettò sempre, aspettò tutto di lei, anche quella riposta via, quei pezzi che aveva coi gesti di un bambino colto e messo nei barattoli di vetro giallo sul camino insieme ai petali di viole e gelsomino bianco.
Suonavano ancora i rintocchi delle ore di quella vecchia campana di campagna e Terence leggeva poesie, aspettava e leggeva.
Quel cancello, piccolo e arruginito, nessuno più lo aprì ma rimase aperto, sempre...". 

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Profilo Autore: Stella Allevi  

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In verità si era dissetato abbastanza; avrebbe portato volentieri nuovamente la bottiglia di tè giù, staccata dalle labbra. E si, anche perché poi, in fondo, quella posizione così scomoda per il bere: capite vero? testa inclinata verso dietro, ossa della cervicale messe a dura prova...ma si, credo che chi ha la cervicale sappia fin troppo bene cosa vuol dire inclinare il capo verso dietro, e chi non ha la cervicale sappia che..che fa dolore, che altro dire? Che si berrebbe meglio da un bicchiere, e senza inclinare troppo la nuca all'indietro. Insomma, fatto sta che, nonostante non avesse più sete, nonostante avesse deciso ormai da tempo che fosse meglio bere a piccoli sorsi durante l'estate e non, a maggior ragione, bevande gelide, nonostante avesse portato volentieri la nuca nuovamente in posizione normale per il dolore alla cervicale....niente: seguitò a tenere la bottiglia di tè....così:...sollevata, in alto, come se stesse a suonare una tromba; e poi sai, davvero nel color castagna dei suoi occhi potevi quasi ascoltare chissà che brano di assolo di tromba che gli stava passando per la testa: Oh! se lo avessi conosciuto un po' meglio sai cosa avrei fatto? Sarei andato lì e gli avrei chiesto: "dai...dimmi: a quale assolo stavi pensando?"; ma forse invece l'ho conosciuto bene, o forse molto molto bene; forse l'ho conosciuto molto meglio della madre che mai dicono la si abbia vista lì, da quelle parti, o di quei quattro sedicenti amici che credeva di avere. E sai perché dico ciò? Si, vero: devo specificare che mai e poi mai ho parlato con lui...accidenti: neanche un leggero cenno di capo gli regalavo, sfiorando un leggero sorriso, quando lo incrociavo per il viale, comunque....dicevo:"sai perché dico ciò? perché un bel tardo pomeriggio d'estate, lui era giù, in fondo al lungo viale ed anche abbastanza distante da me, camminava nella mia stessa direzione e nel mio stesso verso, quindi, trovandomi ad una certa distanza, non poteva né vedermi, né sentire i miei passi dietro. Ad un certo punto gli sentii uscire dalle labbra che pose appena socchiuse, un verso di tromba; e riconobbi benissimo quel pezzo; ah! si se lo riconobbi! ed era anche un pezzo di un brano....insomma, non era una canzoncina, dovevi essere appassionato di musica per conoscere quel pezzo di tromba. Fermai i miei passi a quell'assolo improvvisato e scanzonato a quel modo. Mi nascosi dietro un albero e sbirciai avanti: il signor Ricardo si voltò di scatto, io ritrassi immediatamente il viso, l'assolo terminò lì; comunque, lo avevo sentito e riconosciuto: era la tromba di Luis Gasca in Faith Interlude; o meglio, le labbra del signor Ricardo Rey, socchiuse a quel modo, imitavano la tromba di Luis Gasca, nel brano su riportato. E volete che da questo non si deduca che lui, Ricardo...fosse...solo? Si, si, solo: intendo solo; intendo....solo. Ed il poter dire che una persona è sola, equivale a dire che la si conosce; intendo dire che quei sedicenti amici del bar, no, non conoscono davvero dico: "Faith interlude", suonata da Luis Gasca, né quando Luis l'ha suonata; né tantomeno con chi; e allora...cosa ha da dire il signor Ricardo quando va lì al bar, se non può parlare di tromba, di musica, di assoli, di Gasca, ma deve parlare solo di...non so cosa; eh! Pace all'anima sua. Dicevo quindi che Ricardo, quel pomeriggio estivo, restò lì, con la sua bottiglia di tè sollevata verso l'alto. Ad un certo punto, mi accorsi che guardava con una certa intensità, il terrazzo del fabbricato di fronte, ancora in costruzione. I lavori erano fermi da alcuni giorni; ah! non so perché: qui si inizia, si interrompe, si riprende, si butta giù....quindi davvero non saprei il motivo dell'interruzione di quel fabbricato; o forse....era....Domenica? Comunque lui, il signor Ray, guardava lì, in alto; guardava la sommità del fabbricato da finire; o forse la gru ancora più alta del fabbricato. Erano le 15 e 15, ricordo bene, che il campanile batté tre rintocchi pieni, ed uno acuto. Mi voltai un solo istante verso la mia sinistra: due ragazzi, seduti su di una panchina, si stavano baciando con una passione che, se la somma delle parti, in matematica, dà l'intero, ecco, non c'era alcuna somma da fare: quel bacio fra i ragazzi era la somma stessa: uno solo dei ragazzi era la somma intera; e l'altro pure. Tornai con lo sguardo verso il signor Ricardo...non era più li. Ruotai lo sguardo,  tutto era isolato: la panchina, i due ragazzi, il fabbricato e....null'altro; tutto era fermo. Il campanile distanziava da lì almeno trecento metri. Restai attonito. Dove sta? Dove è finito il signor Ricardo? Provai a cercare aiuto nello sguardo dei due ragazzi che non avevano alcuna intenzione di staccarsi l'uno dall'altro. Il frinìo delle cicale si era fermato improvvisamente, guardai su verso il cielo: le nuvole che poco prima viaggiavano quasi ferme, a velocità trascurabile e mosse da un vento che certo giù, in basso dove ero, non si avvertiva affatto, erano ora immobili. Tornai con lo sguardo ai ragazzi sulla panchina, con un attimo di preoccupazione portai lo sguardo verso il petto di uno dei due ragazzi per vedere se respirava: si; almeno quello.
Non so come, portai ora lo sguardo su, in cima alla gru che sovrastava il fabbricato; il signor Ricardo era lì, dritto in piedi all'apice della gru; portò la bottiglia del té alla bocca, e si lasciò scivolare nel vuoto.
Ho lavorato successivamente, per almeno cinquantadue anni ai terminali petroliferi; ero solo un cuoco, però avevo le mie soddisfazioni nel sentire i tecnici, gli ingegneri, gli operai che mi facevano i complimenti per la cucina. Trascorso questo tempo, sentii l'esigenza di riavvicinarmi al mio paesino. Avvertivo finalmente e nuovamente l'odore dei campi d'orzo, di grano, della terra bagnata quando iniziava a piovere; l'odore dell'erba bagnata e dell'erba appena tagliata dalla primavera in poi; uscivo appositamente fuori, in strada, durante le piogge, per vedere le lumache uscire, scivolare lentamente sui fili d'erba; quell'odore di petrolio ci mise un po' per andar via dai miei abiti. Girando una mattina...era davvero molto presto, saranno state anche le...5,00; si, ma d'estate sapete, le 5,00 insomma...è giorno, incrociai il nuovo Viale, costruito a dire il vero da alcuni anni; ora...proprio nuovo...non potrei dirlo; nuovo per me, ecco, questo si; per me era nuovo quel Viale. Mi fermai all'inizio dello stesso. Lessi il nome del Viale: Viale San Ricardo. Domandai subito, alla prima persona che ebbi la fortuna di incontrare: "E' una Via nuova questa vero Signora?"; era la proprietaria del negozio di verdure, che decenni addietro era solo un buzzico di chiosco che quasi neanche si notava...e che non era lì di certo, in quel Viale intendo, che neanche esisteva. La signora mi sorrise e chiese: "quanto è che manca da qui signor...." "Zenti", risposi: "Alessandro Zenti"; "ma lei è il figlio di Zenti...."; "il trattore" conclusi io; "si, certo; Zenti-seguitò la fruttivendola- il trattore giù passato il paese; la prima trattoria che incontravi vero?"; "si, io...io, proprio io" come a cercar conferma della mia identità. "ma -seguitai- questo Viale...come mai..dico..come mai questo nome? Viale San Ricardo?". "Ma come, non lo sa?"; "è diventato il Santo del paese: San Ricardo...". "Perché? -chiesi con una certa apprensione trattenendo il respiro, ed aspettando la risposta come concessione a riprenderlo. "Due ragazzi....era il....1900....non ricordo....due ragazzi insomma, videro un certo signore, che qui era conosciuto come signor Ricardo...Ah! dicono che era un bravissimo suonatore di tromba, solo sembra nessuno mai lo abbia sentito suonare..."; "si signora...due ragazzi....che hanno fatto?", incalzai nell'ottenere la risposta, ma più che altro per poter riprendere a respirare; "Due ragazzi dicono che lo abbiano visto scendere dalle nuvole, lì, dove è quell'edificio da finire ha capito dove? Con una tromba dorata in mano e che era seguito da una schiera di Angeli che, a loro volta suonavano chi il piffero, chi il ciufolo, chi il flauto, chi la tuba, chi il corno, chi la cetra.". Nell'elencare tutti questi strumenti angelici, la signora delle verdure iniziò a muovere le spalle avanti ed indietro: quasi danzava. "Si, d'accordo signora e poi? che cosa è accaduto?". "Nulla, tutto qua, solo che da quel giorno, il signor Ricardo non si è più visto e, alla base di una gru che era lì per lavori, fu trovata una tromba tutta d'oro". "Ma...cercai timidamente di azzardare io...non sarà stata forse un...sa...i ragazzi....un...barattolo....che magari somigliava ad una tromba...o non so...una bottiglia di tè o di acqua...sa, i ragazzi come sono...." insistetti. "La signora mi fissò, mi girò le spalle ed aprì la saracinesca del negozio oramai divenuto quasi un Supermercato. "Vuole rovinare tutto adesso? E' tornato da chissà dove e...poteva restarsene lì dov'era...". "Come crede che io abbia questo Supermercato? - seguitava la signora - è grazie al Santo....signore mio!"- poi concluse: "lo invoco ogni....sempre lo invoco...sempre! E ora arriva lei?".
Comunque, dato che io, e solo io ho sentito suonare il signor Ricardo, un benedetto pomeriggio d'estate di circa sessanta anni prima, quella stessa notte mi presi il diritto di togliere la scritta sul marmo che riportava il nome del Viale: "Viale San Ricardo", e la sostituii con una stessa di legno, ovvio, improvvisata da me, che riportava: "Viale Ray: musicista" Si, che stia bene o che stia male, il signor Ricardo, sono abbastanza convinto, non voleva essere Santo, ma solo....parlare con qualcuno di musica...tutto qui. Ah si, certo! quel fabbricato...si, è lì:..... quasi un Santuario; Ah! qui non aspettano altro per non finire.
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Profilo Autore: tony lavinara  

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Quando chiuse la porta dietro sé quel pomeriggio piovoso, non si udì il solito fruscìo dovuto allo sfregamento dell'anta contro il pavimento oramai scesa troppo in basso a causa del suo stesso peso. Quella mattina Luca, ebbe molta attenzione; così, con le scarpe ancora in mano, sollevò con il braccio sinistro l'anta della porta, quel tanto, giusto che il rumore non si udì per nulla. Posò le scarpe delicatamente sul gradino umido che era, e le calzò: preferì insomma bagnarsi i calzini nell'uscire, piuttosto che infilare le scarpe in casa. Beh si, forse una accortezza eccessiva: non credo che Luca...si, certo, l'altro Luca, non lui ovvio, si sarebbe svegliato dal suo sonno profondo. Attese il bus, lì di fronte: scesi i tre scalini dell'abitazione. Dal lato destro sopraggiunse il bus: "Oddio! Ancora guardo a sinistra...non ci posso credere", pensò il ragazzo nel voltarsi verso destra al rumore del bus in arrivo. "E come sono ordinati e disciplinati questi inglesi....", seguitò nel suo pensiero, affrettandosi a mettersi in fila, per ultimo, per non fare la solita figura da: "Italiano". Il bus partì, Luca diede un'occhiata alla finestra della stanza dove, la sera prima, aveva dormito con il suo nuovo amico: i vetri apparivano appannati dal contrasto tra freddo del fuori ed il tepore dell'interno. Sentiva ancora il respiro caldo e regolare del suo nuovo amico nell'orecchio, ed immaginava ancora di accarezzare le sue spalle che avvertiva lisce e potenti. "Lo stesso nome..." pensò: "è bastato il medesimo nome per...per parlare, per...cavolo; tutto da lì è iniziato", pensava Luca incredulo: "è bastato lo stesso nome". "no; non certo lo stesso nome piuttosto credo che...".
"Exuse me sir", sentì appena a fianco a sé. Girandosi lentamente vide una signora molto anziana che chiedeva con modo cortese il passo. Luca si spostò accennando ad un leggero sorriso. "Avrà capito che sono italiano?" si domandò Luca; "da cosa? dal sorriso?" si rispose; "forse che sono rimasto in piedi...ma qui..si ha l'obbligo di sedersi?". La signora anziana scese alla fermata tra Allerton Road e Penny Lane. Luca la seguì con lo sguardo nello scendere; il bus chiuse le porte e partì nuovamente. Luca si tenne forte al partire del bus, ma seguiva con lo sguardo l'anziana signora: lo avvolse un desiderio che lo lasciò incantato, quasi sbalordito: lo assalì la necessità di seguire quell'anziana signora. Si affrettò a scendere alla fermata successiva; tornò con passo quasi frettoloso verso la fermata precedente e riprese il suo respiro regolare nel vedere la signora che, avendo appena terminato di scambiare due parole con il barbiere, riprendeva il suo passo solitario. La signora entrò nella porta accanto al negozio. Luca raggiunse finalmente il pub dove, la sera precedente, nel servire quelle pinte di birra, aveva conosciuto il suo nuovo amico con il suo steso nome da italiano. Di tanto in tanto anzi, forse con una certa frequenza, volgeva lo sguardo verso la porta d'ingresso nel mentre serviva le sue birre; ma no: Luca no, non si faceva ancora vivo. A notte inoltrata, con quel suo senso di smarrimento che sempre lo accompagnava a fine turno di notte, si avviò verso casa a piedi. Lungo il viale che lo separava dalla sua semplice abitazione, cercò subito di guardare le finestre della sua stanza; ma tutto era buio. Aprì la porta, questa volta lasciandola strusciare sul pavimento, e si avvertì quindi il solito rumore d'attrito. Accese la luce d'ingresso e raggiunse la stanza. Luca non c'era. Dalla luce d'ingresso si poteva notare il letto nella stanza così..come lo aveva lasciato. Lentamente raggiunse la lampadina che pendeva dalla spalliera. Cercò appena così...con noncuranza, un qualche biglietto, una qualche traccia, ma no...nulla. Si sedette sul letto, si sfilò le scarpe, prese tra le mani i suoi calzini ancora umidi dal pomeriggio e pensò all'attenzione che aveva messo nel calzare le scarpe sul ciglio della porta; tenne stretto fra le mani quell'umido. Gli venne in mente il passo solitario dell'anziana signora lì in Penny Lane. Non ci stette a pensar su. Calzò nuovamente le scarpe. Uscì, raggiunse nuovamente Penny Lane, passò il barbiere chiuso ovviamente, dall'ora notturna e solitaria che era, si fermò all'altezza del portone dell'anziana signora ma sul lato opposto della strada. Una finestra al primo piano emanava una fioca luce che gli ricordò: "l'impero della luce" di Magritte. Strinse i calzini che teneva ancora nelle mani, per avvertire ancora più intenso l'umido che, assieme al freddo di quella notte era un forte contrasto con il ricordo del caldo respiro di Luca. Poi pensò: "chissà se DIO condanna l'Amore che ho avuto per Luca, pur conoscendo questo freddo?". Nelle sue orecchie in quel momento sentì la voce dell'anziana signora sul bus: "Exuse me sir".
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Profilo Autore: tony lavinara  

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Un giorno mia figlia mi chiese:

- Mamma non hai paura di compiere i fatidici cinquanta anni?

Le risposi che non ne avevo timore, che mi sentivo pronta ad affrontare qualsiasi cosa mi sarebbe potuta capitare e che questa scadenza sarebbe stata un tassello da aggiungere alla mia vita.

In realtà, poi mi sono scoperta impreparata a ciò che mi sono trovata ad affrontare.

Una delle sensazioni più brutte e devastanti che una persona possa provare è quella di sentirsi impotente e pensare di non avere le armi per affrontare quello che succede.

Anni fa subii un intervento alla schiena e, per un po' di tempo, mi sembrò di poter godere dei benefici di questa operazione. Invece, dopo circa quattro anni ho iniziato a non stare più bene.

Mi dovevano quindi operare di nuovo, per cercare di risolvere almeno in parte la situazione.

Nel periodo d'attesa tra i due interventi che avrei dovuto subire, ho dovuto ricorrere all’utilizzo di un bastone per potermi sostenere, e ancora oggi ne faccio uso. Per me non è stato facile accettare di vedermi, a soli cinquanta anni, costretta a dover ricorrere ad un appoggio per affrontare la quotidianità.

Pensandoci bene, il fatto di dover utilizzare il bastone non è stata la cosa peggiore che mi sia capitata, lo è stato invece rendermi conto di aver difficoltà nello svolgere anche i più piccoli gesti, come prendere dal frigorifero una bottiglia d'acqua.

-Non ti preoccupare, tu dici cosa ti serve e noi ti aiutiamo- era questa la frase ricorrente, che mio marito e i miei figli mi ripetevano spesso...

Quante lacrime ho versato e a volte verso ancora, perché spesso

ho pensato di essere di peso per la mia famiglia!

Stavo male. Non potevo più essere di aiuto nemmeno per fare la spesa e spesso ero costretta a trascorrere molto tempo sdraiata, per far riposare le gambe. Pensavo di dare l'impressione di non voler fare niente, ma non potevo fare altrimenti.

Al lavoro poi, non andava certo meglio.

Mi rendevo conto che mi era diventato impossibile, in conseguenza delle medicine che dovevo assumere, continuare ad essere efficiente come una volta.

Tra le poche colleghe che mi sono state d'aiuto, una in particolare mi ha insegnato con umiltà a non spegnere mai il sorriso e la speranza e a trovare la forza dentro di me.

Non passava una mattina in cui lei vedendomi mi diceva:

-Anna come va? Dai su che ce la farai..

Era lei a mettermi di buonumore la mattina, anche se il dolore era ogni giorno lì dietro l'angolo.

Quel dolore, che ormai faceva e fa parte del mio camminare, del mio muovermi, nello spazio e nel tempo e che sembrava talora perforarmi il cervello..

A volte ho tentato di reagire con un po’ di ironia, mi dicevo che, col bastone, potevo imparare a fare la majorette.

Quando sono stata costretta a rimanere a casa, mi sono sentita travolgere, come da un torrente in piena, dalla consapevolezza di non farcela ad andare avanti in quello stato.

Mi sentivo veramente impotente, al punto che più volte sono stata tentata di non alzarmi la mattina, sapendo ciò che mi aspettava. Capivo che mi stavano mancando la forza e il coraggio di combattere.

Poi, un giorno, come guidata dall'istinto, mi sono affacciata alla finestra e ho guardato in cortile e... non potevo credere ai miei occhi, rivolta verso mio marito gli ho detto:

-C'è mamma, c'è mamma- ho pronunciato queste due parole come in trance.

Mia madre, con i suoi tanti anni e i suoi acciacchi è arrivata all’improvviso a soccorrermi, sapendo del buio che mi aveva avvolta.

E' impossibile descrivere l'esplosione di emozioni che mi hanno travolta, e in quel preciso momento mi sono detta che non potevo arrendermi. Dovevo riprendermi, dovevo riacquistare a tutti i costi la forza per andare avanti.

Ma dopo la sua partenza era tornato di nuovo il buio.

Trascorrevo i giorni, con sempre meno convinzione che si potesse risolvere la situazione, e il dolore fisico si univa inesorabilmente con il dolore dell'anima. Mi sentivo sempre più sola e inutile.

Spesso pensavo a mia sorella.

Entrambe eravamo perse nelle nostre rispettive vite. Pensavo a quanto poco ci sentivamo, alle chiacchiere mancate e alle confidenze non fatte.

Poi un sabato mattina, alle 8,30 suonano alla porta. Ho aperto chiedendomi chi potesse essere a quell'ora e mi sono trovata davanti lei.

  • Cosa ci fai qui? - le dissi dopo essermi ripresa dallo stupore.

-- Sono venuta per aiutarti e non solo moralmente, ma anche

nelle incombenze domestiche.

Ho pensato subito, che molte persone non hanno questa fortuna: sentirsi amate, anche se i problemi sono sempre lì, sicuramente fa sentire meno soli.

Ho nuovamente pensato che non potevo deludere chi cercava di aiutarmi, e rischiare di rendere vano il loro incoraggiamento a guardare avanti.

Dopo un mese, ho ricevuto la chiamata dall'ospedale.

Ero convinta che, come per magia, subito dopo mi sarei sentita meglio. Invece, nei mesi a seguire, la situazione non cambiò.

Poi un giorno, ho rivisto una donna che incontrai la prima volta, l'anno prima.

Se non mi avessero detto però che era proprio lei non l'avrei riconosciuta. Portava una parrucca ed era gonfia in viso, eppure non sembrava né triste né abbattuta.

Un' amica comune mi ha raccontato la sua storia: da un giorno all'altro aveva scoperto di avere un male incurabile, con una diagnosi terribile.

Ho pensato che, malgrado i miei dolori, potevo solo lontanamente immaginare cosa aveva passato negli ultimi mesi, con il pensiero di avere ormai poco tempo da vivere.

Eppure il suo atteggiamento non era di sconforto. Il suo sguardo sembrava sereno.

Non ho potuto fare a meno di sentirmi una stupida, e di pensare che, per quando avessi potuto soffrire fino a quel momento, avevo comunque le armi per combattere ogni giorno, avevo la possibilità di alzarmi ogni mattina e di affrontare e vivere la mia battaglia.

Questa donna, senza saperlo, mi ha dato una grande lezione di vita.

Ora lei non c'è più, ma fino all'ultimo ha combattuto senza arrendersi.

Grazie a lei sento il grande desiderio di voler vivere questa vita, anche se troppo spesso è come una partita ad alto rischio.

Infatti, nei mesi a seguire, il destino mi ha portato ad un ulteriore ridimensionamento, sia per il lavoro che per la vita quotidiana, costringendomi ad usare la sedia a rotelle.

La prima volta che dovetti usarla, mi sono sentita come una bambina, che deve imparare a fare i primi passi e ho pensato a quando, attiva, correvo di qua e di là: mi sembrava di avere la forza per spostare il mondo, se poi le giornate erano piene d'impegni, mi sentivo davvero bene.

Da subito ho considerato questa “particolare” sedia come una silenziosa amica, poiché ho capito di non avere alternative, dovevo imparare ad affrontare il mondo con lei che avrebbe portato il mio peso ed io il suo.

Non è stato affatto facile, ho voluto e desiderato con tutta me stessa godere ancora del sole e sentire il rumore della pioggia: sperare di poter tornare a camminare ancora per poter essere a stretto contatto con questa terra, della quale sento l'intenso profumo.

Ho chiuso in un cassetto i pensieri negativi e ne ho buttato la chiave!

Pensieri che sono arrivati quando mi sono resa conto di cosa significa dipendere dagli altri, dover utilizzare la pedana del montacarichi, per poter andare in metrò ed essere osservata mentre lentamente – troppo lentamente -- si muove;

Cosa significa avere pazienza in ogni circostanza.

Nel riflettere sulla mia nuova condizione, mi sono soffermata su di un fatto strano: come è cresciuto il livello della mia disabilità, ho acquistato più forza per combatterla e mi sono sentita un vulcano d'idee.

Ho scritto poesie (alcune delle quali pubblicate su “Intimità”); ho partecipato addirittura a dei bandi di concorso per poeti (proprio io che prendevo quattro in italiano!).

Com'è strano il pensare che quando ero fisicamente attiva, i miei pensieri non lo erano, vivevo la quotidianità e tutto finiva lì. Ora, quei pensieri, li trasformo in rima o in prosa.

No!... Non mi sono arresa!! In trepidante e fiduciosa attesa ho seguito le cure imposte dai medici.

Ho pazientato e sopportato il dolore fino a quando - alcuni mesi più tardi - sono riuscita ad alzarmi, utilizzando, da quel momento ad oggi, solo la stampella.

Quel giorno mi sono sentita scoppiare di gioia come se mille fuochi d'artificio esplodessero dentro di me e ad ogni bagliore il mio cuore diventava sempre più brioso e gioioso.

Lo so; sono stata fortunata. Per me il peggio è passato, ma per altri purtroppo, non è così.

Molti sono condannati sulla sedia a rotelle e molti altri riescono a riprendersi, e riescono a reagire... bisogna reagire!!

Nei mesi che ho dovuto usare quella triste sedia, ho capito cosa si prova a dover chiedere sempre aiuto... ma non ci si deve arrendere mai.

Non è stato facile gestire una famiglia da “seduta”, sentirsi spesso di peso, spiegare a tua figlia che non è il caso ti consideri come Wonder Woman solo perché ti sforzi di non lamentarti della tua condizione.

Ho cercato di farle capire quando spesso mi sono sentita stremata ed esasperata, ma ho cercato di tenere tutto dentro di me per non accrescere il dolore e l'apprensione di chi mi stava vicino.

Sono comunque riuscita ad andare avanti. Al di là dell'aiuto fisico avuto dalla mia famiglia, devo dire grazie a quest'affetto intenso e assiduo che ho per me stessa.

La strada per tornare “in forma” è ancora lunga... ma io ce la farò! Per me è stato importante continuare ad amarmi e amare la vita.
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Profilo Autore: Anna Argentino  

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Forse le stelle arriveranno a gettarsi sulla terra

come vomitate dal cielo

per scindersi con le nostre esistenze

per placare all’unisono

ogni vortice negativo

che attraversa gli spiriti

mescolandosi in noi

e facendoci eruttare

sotto forma di mille vulcani

nuove lave prive d’ogni male

scindendo incandescenze

che si fonderanno amorevolmente

in acque adoratrici esclusivamente del bene.
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Profilo Autore: Fabio Piana  

Questo autore ha pubblicato 110 articoli. Per maggiori informazioni cliccare sul nome.
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