Era vissuto sempre solo.
Gli anni erano passati sereni, senza grandi drammi sino all’età di settant’anni. Poi, inaspettatamente, la sua vita cambiò. Un giorno d’estate, mentre andava a spasso per piazza S. Pietro in Roma, si trovò di fronte una persona che mai avrebbe immaginato di incontrare.
Quel giorno Francesco compiva proprio i settant’anni e sembrava una strana coincidenza incontrare quella persona, quasi che il destino avesse combinato quell’incontro.
- Ma tu sei Giovanna… ma non so… forse mi sbaglio - disse Francesco senza mai togliere lo sguardo da quegli occhi sorridenti e che forse avevano tanta voglia di raccontare.
- Sì sono io… Giovanna Alvisi e… tu se Francesco Rinaldi o… forse sbaglio? – rispose la donna con accento toscano e con modi fini ed educati. Giovanna non sbagliava.
Era proprio quel tale Francesco a cui aveva dato il primo bacio, le sue prime attenzioni… da innamorata. Poi, dopo l’Università si erano divisi. Ognuno aveva preso la propria strada; Giovanna un medico abbastanza noto nella capitale mentre Francesco lo era altrettanto nel campo legale.
Quel giorno il loro incontro fu veramente come un nuovo colpo di fulmine. Come due innamorati si presero per mano e quasi furtivamente si dettero un bacio. Giovanna e Francesco non erano sposati. Il lavoro aveva assorbito le loro giornate e non avevano mai pensato di crearsi una famiglia. Erano anni che non si vedevano. Forse erano passati quarant’anni. C’era stato sì un precedente incontro ma nessuno dei due aveva voluto dare una particolare attenzione all’altro. Quell’incontro in Piazza S. Pietro, diciamo, aveva favorito una decisione importante. Passarono così, nell’assoluta felicità tanti e tanti mesi. Il loro frequentarsi era continuo che ad un certo punto Francesco prese coraggio e le fece la proposta di matrimonio.
- Giovanna vuoi sposami? - disse Francesco tradendo un po' di emozione. La sua "fidanzata" non credeva a ciò che sentiva. Le sembrava impossibile che a quella età dovesse ricevere una proposta di matrimonio. Ma l’amore non ha età. Volevano mettere su famiglia. Crearsi un nido d’amore nonostante gli anni. In fin dei conti non c’era nessun impedimento. Anzi, l’amore avrebbe dato un aspetto decisamente diverso alla loro unione e alla loro vita da " pensionati". La cerimonia non fu sontuosa anzi tutto aveva il sapore della semplicità e della genuinità, quella vera che è assai difficile trovare. Amici da una parte e dall’altra e un pranzo intimo, quindi, con poche persone. Avevano poi scelto di vivere nel centro storico di Roma. Un decoroso appartamentino era il loro nido. Vissero ancora insieme per tantissimi anni sempre d’amore e d’accordo. Vissero molto intensamente che alla fine, per l’inevitabile disegno della vita, uno dopo l’altro si lasciarono. Avevano scritto un biglietto prima di "andarsene" forse per suggellare a loro stessi, per un senso di amorevolezza reciproca, quel loro volersi bene. Senz’altro si erano voluti veramente bene.
Gli amici trovarono i loro biglietti in un cassetto.
"Francesco, sei stato sempre un adorabile sposo.
La tua Giovanna".

"Giovanna, sei stata sempre la mia gioiosa compagna.
Il tuo Francesco".

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Profilo Autore: franco  

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Natura ritemprata 

ecco una goccia, eccone due ,

 ecco un tuono , eccone due.

Un canto di pioggia

ondeggia alle foglie 

 cade alle radici 

 penetra fin dentro le viscere.

si dissolve 

s’imperla di suoni e danza

d'arcobaleno  sul mare .

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Profilo Autore: Caterina Morabito*   Socia sostenitrice del Club Poetico dal 14-03-2014

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A passo lento ripercorro il passato cercando di disimparare vecchie abitudini,

concentrandomi su ciò che sarò in grado di compiere da quest'attimo in poi.

Non penso d'avere dipendenze, le sigarette sono un lontano ricordo,

mio accertato difetto, scrivere, indispensabile come cibo per il corpo,

nutre la mia anima e non fa pesare la solitudine, mia compagna da anni.

Ho imparato ad entrare in sintonia con ciò che mi circonda cercando sempre

il lato positivo delle cose, allontanando le negatività del mondo sempre più ostile

verso le umane debolezze.

Le nuove percezioni mi inducono a dare ascolto alle intuizioni sbloccando l'ego

che le imbriglia, lasciano spazio al mio sentire che difficilmente sbaglia.

Non riuscirò mai a conoscere del tutto i segreti del mondo e a comprenderlo, essendo un pozzo di sorprese;

nel silenzio riesco a comunicare i miei, ne ho tantissimi da custodire e reinventare con la fantasia,

senza lasciar spaziare la noia che con me non riesce ad abitare.

Ogni giorno mi rinnovo per star bene con me stessa, il mio sguardo cattura,

la mente immagazzina per poi trascriverlo bloccando l'attimo, rendendolo immortale.

Come questo momento tutto mio, col canto dei grilli ininterrotto che funge da concerto

e qualche piccola o grande falena che corre incauta verso la luce, restandone intrappolata

come zanzara, lasciando quella scia di bruciato che rallegra e intristisce allo stesso modo.

Non esistono confini alla solitudine come non esiste dominio agli elementi della natura,

 sempre ci sorprendono tra dolori e rancori incrociando destini e talvolta scompaginando l'esistenza.

Gli abbagli son sempre nocivi, la cautela non è mai obsoleta in ogni frangente della vita.

Dopo tutte queste sciocchezze trascritte, vado a nanna con quest'afa insopportabile,

riuscirò comunque a riposare... con gli agi del progresso.

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Profilo Autore: genoveffa frau*   Sostenitrice del Club Poetico dal 20-07-2021

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- Non senti che la campana suona, Addolorata?
- Sì, mamma, ho sentito. E allora?
- Come? Non lo sai che dobbiamo andare alla messa delle sei? Che ti passa per la testa?
E poi perché ti sei vestita come se devi andare alla processione di Sant'Onorato?
- Uh, mamma, non l'ho dimenticato! Ma ora non ho voglia di ascoltare la messa, mi sono scocciata!
- E no, bella mia, tu mi devi spiegare questa improvvisa decisione! Come mai? E se ti vestisti così, dove devi andare allora? A passeggio per la via maestra, da sola, come una ragazza civettuola?
-E va bene! Mi vestii con l'abito azzurro perché mi aspetta in piazza Sofronia, la figlia di donna Prudenzia. Ci siamo messe d'accordo per passeggiare e andare a prendere un cono gelato. C'è qualcosa di male, mamma?
-Di male ce n'è assai! Tu in chiesa devi andare a pregare il Signore che ti faccia la grazia di sposare Onofrio Galantucci. Non ti piace più, ora? Sei una svergognata dopo che ti sei concessa a lui! Con lui ti devi sposare perché ti ama e farebbe follie per te! Ti ci porto io in chiesa, anche se dovessi trascinarti per la tua trecciolona.
-Mamma, finitela di scocciarmi! E poi per una messa! Che casino che state facendo!
Io ora esco e m'incontro con Sofronia. Passeggiamo per la piazza e ci pigliamo un bello gelato. Poi, se incontro Onofrio, lascio che mi faccia la corte, perché si deve decidere a chiedere a Voi la mia mano. Lo devo tenere a bada perché quello dice di amarmi, ma fa il cascamorto con tutte le ragazze.
- Addolorata, ma tu stai pazziando? Hai troppi grilli per la testa e so io come si chiamano sti grilli! A te ti piace u figlio di donna Rosetta e speri di incontrarlo per fare la svenevole con lui. Ma tu a bottana non la fai, mi hai capito?
- E che ci fa, se mi piace Cosimo Lupacola? Hai visto quanto è bello, che fisico che tiene? Lui è meglio di Onofrio che ha pure la gobba e i denti guasti. Perché mi devo sposare con lui?
-Il fatto è che tu ti metteresti con chiunque, con qualsiasi maschio che ti frughi in petto e tra le cosce! Sei svergognata e immorale! Che male ho fatto ad avere una figlia come a te? Tu devi pensare ad un matrimonio riparatore perché non sei più vergine, disgraziata! E siccome facisti l'amore con Onofrio, bello o brutto che sia, te lo devi sposare! Capisti, Addolorata?-
- Mamma, ora ti accompagno in chiesa e pregherò che il Signore mi faccia la grazia. Se mi sposerò con Onofrio, poi deciderò se frequentare ancora Cosimo... È così bello!

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Profilo Autore: Arcibaldo  

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- Ciao, come stai? Una volta, di maggio, venivi a trovarmi spesso… -
- Beh, altri tempi, ero un giovanotto, la casa non era lontana, il primo bagno era in aprile. -
- Sì, va bene, ma non mi hai detto come stai. -
- Così così… -
- Carenza di sogni? -
- No, per fortuna quelli non mancano! È che la vita mi prende, mi fa scordare chi sono. -
- E tu sai che devi fare? Alla vita, di’ che sei amico mio. -
- Lo sa, lo sa. Tu, invece, come procedi? Riesci sempre a spumare al meglio? -
- Mi do da fare. -
- Oggi sei di un azzurro antico. -
- Sentivo che saresti venuto e così ho chiesto al vento di assentarsi, di sfogarsi più a Nord. -
- Quale onore! -
- Senti un po’, so che scrivi poesie. -
- E chi te l’ha detto? -
- Si dice il peccato, non il peccatore. Ma tu, nei tuoi versi, mi nomini qualche volta? -
- Altro che! -
- E come mi descrivi? -
- Dipende da come ti vedo. -
- Vuoi dire da come mi vedevi, forse? -
- No, no! Da come ti vedo anche quando sono lontanissimo. -
- E dimmi ancora un’altra cosa… -
- Quale? -
- Hai mai svelato i nostri segreti? Hai mai parlato dei nostri incontri a sera? -
- Geloso? -
- Non si tratta di questo. Il fatto è che oggi sono altri tipi d’incontri. -
- Cioè? -
- La gente arriva, un tuffo e via, e poi si stende a pancia all’aria. -
- La gente non è tutta uguale. -
- In che senso? -
- Magari preferisce il lago, il fiume, i monti o le colline… -
- Fosse così, mi andrebbe bene. -
- Adesso però ti devo salutare. -
- Non andartene Auré! -
- La famiglia, la salute, il lavoro, il futuro… ma ti prometto che tornerò. -
- Io sono qui, io sono il mare. Appena sarai giù per il sentiero, ti riconoscerò. -

Mi avvio guardando, un po’, la sabbia avanti e, tanto, l’acqua indietro. Par che le onde si stirino proprio come me quando, al risveglio mattutino, distendo braccia e gambe. Forse è solo un’impressione, la tenera coda del sogno nella realtà. Sono già sulla stradina e i primi rumori mi rammentano dov’é che son diretto. Spedisco gli occhi al cielo e dopo, quando me li riprendo, si posano sul primo fianco della collina: c’è un salice che non piange.
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Profilo Autore: Aurelio Zucchi*   Sostenitore del Club Poetico dal 04-03-2020

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Rapito dall'amore per la bellissima Sut (Sacerdotessa del Tempio di Sefor) Akenafis s'abbandona nella perdizione per lei.
Irraggiungibile come una Dea per lui diviene ossessione d'amore.
Nessuno, nemmeno il gran sacerdote del tempio, può sfiorare la purezza di Sut.
La perdizione eterna nel mondo dei non morti attende chi oserà violare questa sacralità.
La vicinanza con questo tormento diviene sempre più insopportabile per Akenafis che affida allo scrittura la sua violenta passione.

L'occhio dal cielo.

Scruta l'occhio dal cielo i segreti degli amanti e d'essi accoglie i lamenti nelle notti gelide dei deserti.
Scruta in silenzio Akenafis che legge le parole sacre.
Pulsa il cuore.
Muore la mente nella pazzia.
Arde la pelle nel non toccare, si scioglie come miele,
colando lentamente dalle pareti dell'amore.
A nulla servono i poteri,
a nulla serve il nulla che distrugge il sacerdote.
Ti avrò Sut,
sarai mia nella casa delle intenzioni,
nella valle dei lussuriosi,
nei sotterranei delle acque nere.
Vento del deserto spira nella notte.
Granelli inondano ciò che non vede.
Il buio divora morso dopo morso
il tremore della genesi.
Gli organi vitali si scuotono sotto i colpi
del male oscuro.
Oscura è l'alito della morte che sputa il suo veleno
sulla vita di Akenafis.
Io sono ombra.
Io sono destino.
Io sono Akenafis sacerdote del sacro tempio di Sefor
ora e sempre nel corridoio dell'oblio infinito.

Il terzo alito della cenere

Terzo di cenere
nel soffio.
Sguardo di carbone.
Affusolate le gambe
scuotono le sensazioni,
vibrano le percezioni.
Ti volti,
pietra fredda in me,
caldo amante sarò.
Sciolgo il nodo
del sole morente.
Mani affusolate
lasciano segni
sul manoscritto di sabbia e conchiglie.
Amami nel tramonto delle dune,
amami come amante del tempo defunto.
Quarto di templi
del deserto dell'eden illusorio.
Losanghe disegnate
di monde paure.
Lesene del decoro,
falso inganno,
fatuo sostegno
sono i tuoi modi.
Idillio della città perduta,
oh sacerdotessa del principio delle ipocrite verità.
Sarò così per te
fra archi d'oscuro
e monumenti del torbido
sarò cosi.
amante
del tuo perso dormire.

Labirinti di perversione.

“Labirinti di perversione
tu che in me sei ossessione.
Trancio serpenti ingoiando occhi.
Scruta il falco nella notte,
il fiume dei morti ribolle d' anime.
Passi inconsistenti appaiono.
Labbra infuocate nel destino del suono.
Sfioro turgide emozioni,
sigillo in tombe mere passioni.
Re del trapassato pensiero,
manovro le membra dell'uomo.
Osservo le fattezze tue.
Nelle trasparenze m'immergo
per morire rinascendo.
Siano notti nella lussuria del dio Amos,
siano effluvi della disciplina di Sefor.
Siano corpi privi di sembianze,
nel contorcersi dell'essenza del peccato.
Io sono nel sibilo del vento
che attraversa le tue vesti,
io sono acqua che nelle tue forme si compiace,
freddo come il mondo che non esiste,
caldo come l'anfora del divino nettare.
Io sono privo d'inizio,
senza orizzonti finiti.
Io sono tramonto sul Nilo.
Io sono luce delle parole,
io sono freccia persa
nella valle del fremito,
nei sentieri della tua pelle di luna,
nell'arco delle infinite perdizioni.
Io sono Akenafis signore del silenzio,
padrone dei vasi sacri,
custode dei segreti dell'immortalità,
io sono tutto e nulla,
sono in ogni dove e in nessun luogo.
Sono quello che sono,
schiavo dei tuoi occhi di smeraldo,
oh mia regina Sut”

Io sono.

Io sono,
quello che sono.
Signore del mondo dell'oltre,
padrone delle tenebre di Assurbal.
Tra rive di reconditi perché mi ritrovai
e cascate di nubi
sorte dove non erano tentazioni.
Io che del corpo tralasciai discipline
per essere empio e poco.
Cercai il colmo
d'un bicchiere vuoto.
Come fiori d'un deserto
assaggiai il corso del sapere
avidamente affamato,
digiuno dell'universale moto.
Seppi di te,
oh dea,
amante di perdute reminiscenze.
Da te venni a imparare
turgide carezze nel bagno del peccato.
Bevvi da infuocati seni,
l'arte della incoscienza
perdendomi nel tempio dell'oblio.
Io che vissi morendo,
fui vita quando morte colse
il senso del nonsenso.
Quando l'abbandono nel tuo flessuoso velluto
mi rese avido di te.
D'avorio e mirra vestii le mie mani,
d'oro furono i gemiti,
di mosto e miele
fu il succo dell'amore.
Ventagli di spezie adornarono il pulsare,
onde del mare s'infransero nella calma d'obliate lagune,
scrosci di tempeste mi inebriarono del tuo amplesso.
Fui tutto in un momento.
Fui esistenza,
spegnendomi in quel momento.
Mai più vissi,
mai più compresi.
Lasciai la foresta delle gocce di lussuria,
lasciai il tramonto sui tuoi occhi d'argilla pura,
mi specchiai nel regno del mirto in fiore.
Divenni fiore
dell'oscurità
per esser preda
d'un convulso esistere.
Divenni lacrima per bagnare il tuo viso.
Divenni sole per prosciugare la tua sete.
Divenni effimera sospensione d' acque di rugiada
per acquietare i tuoi sensi.
Divenni emisfero di luce
per illuminare il tuo lato oscuro,
Infine divenni ombra per ghermire le tue sembianze
e custodirle nel mio paradiso dei sensi.

Trascorro il tempo.
Akenafis s'abbandona a se stesso nella dolcezza dell'amore impossibile.

“Trascorro il tempo
sospeso tra il crepuscolo che abbraccia il mare
e le tue labbra rosso fuoco.
Intreccio le onde
con i tuoi capelli scuri come profonde acque.
Freme l'aria,
scossa da fulmini e tuoni.
Freme la tempesta che sferza il cuore.
Solco le acque senza timore
per giungere da te,
mia regina.
Spargerò d'ambrosia il sentiero degli dei.
Trasformerò in oro i calici in cui berrai
il nettare dell'amore.
Riempirò le otri di novello succo.
Miele sarò per i tuoi sensi.
Sarà amore a far germogliare aridi deserti,
sarà amore,
per sempre scritto sulle pietre dei templi,
che al vento offrono passioni e desideri”.

Akenafis s'addormenta nel desiderio e la sua passione diviene amore puro.

Dolce miele,
delizia della mia lussuria,
di te mi nutro in ozio
saziando l'insaziabile,
estinguendo il pulsante tremare del desiderio.
Tu che sei rovente sabbia del mio crogiolo,
lascia che io ti assapori fino all'ultimo lembo,
lascia che io stenda le mie mani sul tuo inebriante
profumo.
Lascia che il notturno gemere svegli l'universo
dal suo oscuro torpore,
lascia che io sia quello che sono:
l'amante tuo.
Amore se mai accarezzerò
il colore della vita,
ascolta le frasi scolpite nella mia pazzia.
Ascolta il torrente di solitudine
che scorre nel mio cuore.
Ascolta il lamento del mare
che sussurra nenie dimenticate.
Oceani confusi
oltre l'orizzonte danzano nella libidine.
Laggiù l'eco s'inchina al tuo splendore.
Laggiù la profondità dei tuoi movimenti
innalza le onde delle nostre paure.

Ultimo atto la morte

Akenafis si sveglia dal sonno dell'oblio e nel tormento assoluto decide di suicidarsi con il veleno.

Ancora una volta
attraverserò le più remote regioni dell'impossibile,
per stringere a me l'origine del peccato.
Tu che fosti mio peccato
tu che silente ascoltasti il mio ultimo “ti amo”,
cantato per te.
Ascolta ora il mio ultimo respiro oh mia regina.

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Profilo Autore: Giancarlo Gravili  

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"Fammi nascere affinché io possa veder sorgere il sole ogni giorno", disse il seme alle fertili e rigogliose zolle. "Ti nutrirò come meglio potrò: estrarrò dai miei seni il nutrimento adatto per farti crescere forte e vigoroso," rispose la terra. Fu così che madre terra accolse nel suo ventre il seme e quando a primavera partorì il frutto, fornì ad esso tutto quanto gli serviva per farlo crescere sano e forte. Così il seme divenne dapprima un piccolo verde virgulto, poi una piantina e col passare del tempo un albero robusto e vigoroso. Quando fu pronto per cavarsela da solo, la terra fece la solita raccomandazione che ogni madre fa al proprio figlio: "ora sei pronto per affrontare la vita. Lascia che il sole ti baci, non temere la pioggia: dopo il temporale esce sempre il sereno. Quando il vento urla forte e ti spezza qualche ramoscello, tu non fermarti mai troppo a leccarti le ferite: chi combatte può vincere, può perdere, ma vale la pena provarci...sempre. Abbi pietà per chi non è consapevole di ciò che fa: non tutti hanno la capacità di discernere. Non fidarti di chi promette e non mantiene: perderai solo inutile tempo. Sappi che nulla si ottiene facilmente: se vuoi ottenere risultati migliori devi impegnarti al massimo. In caso di bisogno chiedi aiuto, ma non appoggiarti troppo agli altri, perché rischieresti di cadere: ricorda che ognuno ha le sue debolezze. Quando la tua buccia comincerà a raggrinzirsi, non andare contro natura cercando di riparare piccole ferite che vengono considerati inestetismi, con inutili, miracolose e costose "cure"; ma accetta che la natura faccia il suo corso e che il tempo lasci su di te il segno dei tuoi anni. Quando comincerai a sentirti stanco e i tuoi rami saranno secchi, lasciati andare; perché vivere è sempre un privilegio e tu hai avuto la fortuna di nascere." Se i tuoi frutti cadranno sul terreno e spargeranno tutt'attorno i loro semi, nasceranno piccoli germogli che diventeranno piantine e poi alberi...e poi: finché c'è un dopo, non si smette mai di vivere."
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Profilo Autore: Giovanna Balsamo  

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Il viaggio della speranza… parole residue, tra le tante in fondo alla giornata. Le ho lette in farmacia, su un bussolotto di vetro accanto alla cassa, c’era l’asola per infilare i soldi e la fotografia di un bambino appiccicata con lo scotch, uno di quelli da portare lontano per tentare un’operazione, un viaggio della speranza, appunto. Mi giro sul cuscino, macino respiri sonori. Guardo il corpo di Giuliano, fermo, pesante. Dorme come dorme lui, supino, a torso nudo. Dalla bocca ogni tanto cava fuori un piccolo grugnito, come una bestia placida che scaccia moscerini.
Tutto pareva convincermi che l'unica soluzione era quel viaggio per cercare di trovare qualche soluzione a un problema di per sé gravissimo.
Lui dormiva, non voleva farmi pesare la sua preoccupazione, dimostrava coraggio per trasfonderlo in me, allo stremo delle forze, con i peggiori pensieri catastrofici che mi assillavano togliendomi il respiro.
Senza di lui sarei morta di dolore, una vita insieme, ero poco più di una bimba quando lo incontrai, frequentavo la terza media, ricevetti una lettera tramite sua sorella che era in classe con me, una vera e propria dichiarazione d'amore.
Pochi anni di fidanzamento, il matrimonio e i figli.
Una vita colma d'amore, ora che i ragazzi erano sistemati e avevano la loro vita, ecco la terribile diagnosi, neoplasia pancreatica e lui dormiva, allontanando i pensieri.
Ormai era tutto pronto, niente ripensamenti, ancora poche ore e saremmo partiti, in gioco c'era la sua vita, non importava la cifra che avremmo dovuto spendere tra viaggi e visite col grande luminare nel settore pancreatico, nella nostra regione non esisteva quella branca specialistica, non c'era altra alternativa, dovevamo giocare quella carta, l'unica per la vita.
Le valigie erano pronte, la notte appena cominciata, come potevo prendere sonno con l'assillo della morte che alitava al mio fianco in attesa di portarsi via la ragione della mia vita.
-Dio Santo-. Pregai.
-Prendi me e risparmia lui se questo viaggio non ci darà risposte positive alle nostre speranze-
Finalmente giunse l'alba, grigia come i pensieri che ci adombravano ma il mio Giuliano aveva un sorriso dolce, si rendeva conto che lo osservavo preoccupata e mi rassicurava stringendo le mie fredde mani tra le sue calde.
Non era bello come quando lo conobbi, era il mio uomo, lo adoravo nonostante la rotondità pronunciata della pancia che lui d'estate esibiva con fierezza: “Coltivata in casa” diceva sorridendo felice.
Ancora non avevamo compreso che si stava insinuando il mostro che poi avremmo cercato di sconfiggere con le unghie e con i denti.
Eravamo quasi giunti all'areoporto di Elmas, Milano non era poi cosi distante eppure il mare era una barriera col resto della penisola, isolati e penalizzati in quegli anni non facili per le rotte aeree, erano l'unico mezzo celere, in giornata si poteva partire e rientrare salvo complicazioni, in quel caso avremmo dovuto pernottare in qualche albergo vicino alla clinica.
L'aereo rullava, pronto al decollo, avrei voluto smettere di pensare a quel viaggio della speranza, sarebbe potuto essere una bella vacanza da qualche altra parte, magari alle Maldive, in spiaggia rilassati tra un tuffo e l'altro, che sciocca, non sapevo neppure nuotare, magari prendendo un thè freddo sotto una palma e la spiaggia tutta per noi.
Avevamo bellissime spiagge in Sardegna, dovevo smetterla di volare con la fantasia, bastava l'aereo.
In poco meno di due ore stavamo per arrivare a destinazione.
Il cuore in tumulto, finalmente a terra, una fila di taxi in attesa, ne prendemmo uno a caso dando l'indirizzo del centro tumori.
Un percorso interminabile, pareva girassimo sempre nelle stesse vie, sicuramente un furbastro e il tassametro conteggiava al ritmo della mia apprensione.
Niente importava, il pensiero era proiettato al responso della visita, ci attendeva una interminabile giornata, non restava che accomodarci e pazientare dopo aver compilato una lista di domande su stato di salute indirizzo e reddito, cosa c'entrava il reddito con la visita?
Ancora me lo chiedo.
-Numero 17 ambulatorio 3- Eravamo numeri, primi o ultimi, solo numeri.
La visita era terminata, nessuno dei due osava proferir parola per tutto il tragitto di ritorno, non avevamo pranzato ma eravamo sazi e nauseati.
Posai il capo sulla spalla di mio marito, mi accarezzò i capelli e vidi un velo d'ombra sul suo sguardo, non riuscii a trattenere le lacrime mentre l'aereo prendeva quota, dopo un po' Giuliano mi disse:-Il nostro amore è immenso e senza confini, guarda amore-.
Un brivido serpeggiò nel mio cuore.
Alzai la testa. Il mare aperto era sbarrato da un banco di nubi nere, e il quieto corso d’acqua che portava ai confini estremi della terra scorreva cupo sotto un cielo offuscato – pareva condurre nel cuore di una tenebra immensa.

Genoveffa Frau

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Profilo Autore: genoveffa frau*   Sostenitrice del Club Poetico dal 20-07-2021

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Passo giornate infinite a non fare quasi nulla, se non studiare. Sono giovane e dovrei essere piena di sogni, di vita invece mi sento morire. Una morta che cammina, senza gioia e senza dolore, apatica da morire. Svegliarsi da un momento all'altro all'interno di un mondo che già vacillava, adesso durante la pandemia mi sento morire. Impotente davanti alle leggi, spesso contraddittorie, si sa che al mondo c'è chi ha troppo e va avanti, e chi invece è dimenticato da tutti  muore e a nessuno importa. Sono giovane, ero una ragazza semplice piena di speranze, amavo la vita. Adesso invece sono solo un'altra morta che cammina.
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Profilo Autore: Child  

Questo autore ha pubblicato 5 articoli. Per maggiori informazioni cliccare sul nome.
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Profilo Autore: Er pirata  

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