T’avevo sognata per anni e parlandone con la mia prima compagna concordammo che ti saresti chiamata Giulia o Emilia. Ma quella mora compagna… fu una Caporetto totale, una disgrazia infernale, una devastazione profonda che mi costrinse a fuggire via dalla città che avevo scelto, non solo per studiare, ma proprio per viverci, perché mi piaceva, mi piaceva molto, come pure mi piaceva molto quella matta che hai rischiato di avere per madre; fortunatamente era molto precisa nell’assumere la pillola, per cui nei 7 anni che fummo fidanzati tra alti, bassi, bassissimi ed abissi, non capitò nessun “incidente” che realizzasse tale sogno prematuramente. Feci in tempo a scappare, non a salvarmi; in qualche modo la mia vita andò avanti ma abbandonando progetti, sogni, futuro.
Poi dopo qualche anno di stasi, una nuova opportunità folgorò la mia vita che tentava di ripartire: era bionda, viva, allegra, intelligente, instancabile. Con lei decidemmo che ti saresti chiamata Giulia, perché Emilia m’avrebbe ricordato troppo il passato e la fuga. Perché? Non lo so, non l’ho mai saputo, ma questo nome l’ho avuto sempre nella testa; non saprei se c’è entrato inconsciamente perché ho conosciuto una qualche Giulia che mi avesse colpito, o magari qualche canzone dedicata a Giulia mi era piaciuta (Gianni Togni? Vasco Rossi? Antonello Venditti? Chissà!) o semplicemente me ne piaceva il suono. Ma scappato dai miei vent’anni e dall’ipotesi Emilia, non potevi che chiamarti Giulia!
Con il mio pulcino biondo stavamo pianificando la tua esistenza nella nostra futura famiglia, nella casetta che avevamo comprato accendendo un mutuo e rallegrando anche un po’ di istituti di credito per avere in prestito i capitali necessari a disfare prima e ristrutturare poi quella casa che proprio lei aveva scelta tra quelle che visitammo da comprare, ma voleva sentirla ancora più “sua” (che ingenui… era delle banche, non nostra!). Del resto lavoravamo bene, due belli stipendi, banca ed istituti erano felici di accoglierci e proporci i vari tassi tra cui scegliere, la crisi del 2008 ancora non aveva piegato il mondo, l’Italia, tantomeno noi che sognavamo e progettavamo di avere non solo te, ma anche possibilmente un fratellino; se eventualmente la seconda fosse stata femminuccia anche lei, allora avremmo osato un terzo ed ultimo tentativo per avere anche un maschietto. Più o meno i trucchi per agevolare l’arrivo di una femminuccia o un maschietto li sapevamo, essenzialmente una questione di “profondità di sgancio della bomba” :-)))) perché i gameti maschili son più veloci ma tendono a schiattare prima e, se li sganci troppo distanti, non arrivano alla meta; certo nessuna garanzia, ma diciamo su per giù al 75% questa specie di selezione riesce; non è il 100%, ma è pur sempre molto più del 50%.
Il tempo passava, lavori e stipendi filavano, più che lisci direi proprio benone. Sia la mamma sia io eravamo contenti dei nostri impieghi e dei relativi introiti, ero molto stimato anche fuori regione negli ambienti in cui mi muovevo, ero il braccio destro del capo ed andavamo ovunque a portare la nostra professionalità; latitudini tra la Sicilia e il Belgio, dove in auto, dove in aereo. Tutte le volte che ero in trasferta, le videochiamate con la mamma erano gioiose (all’epoca non era consuetudine vedersi per telefono: io e lei ci vedevamo dai computer, con Skype, si parlava del futuro e di quanto ci mancavamo per quei 2 o 3 giorni di distanza) ed i rientri… focosi!
Frattanto, la solita pillola badava che tu fossi un preciso progetto e non un maldestro incidente: ne avevamo di cose da preparare per offrirti una vita serena! Non doveva mancarti nulla, non avresti dovuto soffrire nessuna rinuncia. I lavori per la casa continuavano favolosi, tutti gli impianti nuovi e non semplicemente “a norma” ma al massimo della qualità possibile, persino cablaggio lan e videosorveglianza, predisposizione al solare quando ancora non era di moda eccetera eccetera.
Poi arrivò il 2008. Poi andarono via i lavori. Poi andarono via i soldi. Poi le banche si fecero più cattive. Poi la mia salute andò a rotoli. Poi la mamma fuggì all’estero; io avrei dovuto raggiungerla e tentare di rifarci una vita fuori dall’Unione Europea, per complicare alle banche il divertimento di spellarci vivi. Ci tolsero una casa che non facemmo in tempo a vivere, senza tra l’altro azzerare i debiti: pretendevano, dopo averci portato via tutto, che restituissimo ancora più soldi di quanti ce ne avevano prestati, nonostante gli anni di regolare e puntuale pagamento delle rate. Come se non le avessimo mai pagate, eppure per anni ed anni non ne avevamo saltata neanche una. Imparai a muovermi a piedi fin dove potevo e purtroppo la meta abituale diventò l’ospedale, problemi che avevo da chissà quanti anni ma che erano stati trascurati perché non sembravano impattanti, diventarono insostenibili; si scoprì che erano di una gravità altissima e che occorrevano interventi chirurgici delicati per sperare, senza garanzie, di sopravvivere; mentre tutto intorno andava sempre più a rotoli.
Arrivò il giorno in cui la mamma, di rientro qui al villaggio per una piccola vacanza, portandomi a passeggiare sul lungomare, esordì con il classico «Dobbiamo parlare!».
Lo sai cosa vuol dire quando una donna dice al “suo” uomo «Dobbiamo parlare!»? Vuol dire che, per un motivo o un’altro (spesso, inaspettatamente, è “l’altro” ma lo capisci anni dopo), non sei più “suo”. In giro raccontavamo che ci eravamo lasciati di comune accordo, ma in realtà lei era molto, molto più d’accordo di me. A tenerci uniti son rimasti solo banche, avvocati, istituti di credito e loschi personaggi che minacciano per avere soldi che non ho modo di trovare, nulla di più.
E tu?
Tu… beh, la pillola ha funzionato, sempre; ed in attesa del momento giusto per farti nascere… non sei mai nata! Sei rimasta uno dei miei tanti sogni bruciati, uno dei miei rimorsi, da aggiungere alla catasta di rammarichi. Un elemento in meno a tentare di dare un senso a questa mia esistenza sbagliata.
Mi dispiace di non averti mai vista, mai baciata, mai stretta tra le mie braccia; ma mi consola non averti mai trascinata nel mio inferno. Almeno non me lo rinfaccerai e non mi odierai.
Mentre qui pian piano continua a bagnarsi tutto nonostante fuori non piova, mi resta una sola cosa da dirti, figlia mia: addio, Giulia.
23/08/2024
Poi dopo qualche anno di stasi, una nuova opportunità folgorò la mia vita che tentava di ripartire: era bionda, viva, allegra, intelligente, instancabile. Con lei decidemmo che ti saresti chiamata Giulia, perché Emilia m’avrebbe ricordato troppo il passato e la fuga. Perché? Non lo so, non l’ho mai saputo, ma questo nome l’ho avuto sempre nella testa; non saprei se c’è entrato inconsciamente perché ho conosciuto una qualche Giulia che mi avesse colpito, o magari qualche canzone dedicata a Giulia mi era piaciuta (Gianni Togni? Vasco Rossi? Antonello Venditti? Chissà!) o semplicemente me ne piaceva il suono. Ma scappato dai miei vent’anni e dall’ipotesi Emilia, non potevi che chiamarti Giulia!
Con il mio pulcino biondo stavamo pianificando la tua esistenza nella nostra futura famiglia, nella casetta che avevamo comprato accendendo un mutuo e rallegrando anche un po’ di istituti di credito per avere in prestito i capitali necessari a disfare prima e ristrutturare poi quella casa che proprio lei aveva scelta tra quelle che visitammo da comprare, ma voleva sentirla ancora più “sua” (che ingenui… era delle banche, non nostra!). Del resto lavoravamo bene, due belli stipendi, banca ed istituti erano felici di accoglierci e proporci i vari tassi tra cui scegliere, la crisi del 2008 ancora non aveva piegato il mondo, l’Italia, tantomeno noi che sognavamo e progettavamo di avere non solo te, ma anche possibilmente un fratellino; se eventualmente la seconda fosse stata femminuccia anche lei, allora avremmo osato un terzo ed ultimo tentativo per avere anche un maschietto. Più o meno i trucchi per agevolare l’arrivo di una femminuccia o un maschietto li sapevamo, essenzialmente una questione di “profondità di sgancio della bomba” :-)))) perché i gameti maschili son più veloci ma tendono a schiattare prima e, se li sganci troppo distanti, non arrivano alla meta; certo nessuna garanzia, ma diciamo su per giù al 75% questa specie di selezione riesce; non è il 100%, ma è pur sempre molto più del 50%.
Il tempo passava, lavori e stipendi filavano, più che lisci direi proprio benone. Sia la mamma sia io eravamo contenti dei nostri impieghi e dei relativi introiti, ero molto stimato anche fuori regione negli ambienti in cui mi muovevo, ero il braccio destro del capo ed andavamo ovunque a portare la nostra professionalità; latitudini tra la Sicilia e il Belgio, dove in auto, dove in aereo. Tutte le volte che ero in trasferta, le videochiamate con la mamma erano gioiose (all’epoca non era consuetudine vedersi per telefono: io e lei ci vedevamo dai computer, con Skype, si parlava del futuro e di quanto ci mancavamo per quei 2 o 3 giorni di distanza) ed i rientri… focosi!
Frattanto, la solita pillola badava che tu fossi un preciso progetto e non un maldestro incidente: ne avevamo di cose da preparare per offrirti una vita serena! Non doveva mancarti nulla, non avresti dovuto soffrire nessuna rinuncia. I lavori per la casa continuavano favolosi, tutti gli impianti nuovi e non semplicemente “a norma” ma al massimo della qualità possibile, persino cablaggio lan e videosorveglianza, predisposizione al solare quando ancora non era di moda eccetera eccetera.
Poi arrivò il 2008. Poi andarono via i lavori. Poi andarono via i soldi. Poi le banche si fecero più cattive. Poi la mia salute andò a rotoli. Poi la mamma fuggì all’estero; io avrei dovuto raggiungerla e tentare di rifarci una vita fuori dall’Unione Europea, per complicare alle banche il divertimento di spellarci vivi. Ci tolsero una casa che non facemmo in tempo a vivere, senza tra l’altro azzerare i debiti: pretendevano, dopo averci portato via tutto, che restituissimo ancora più soldi di quanti ce ne avevano prestati, nonostante gli anni di regolare e puntuale pagamento delle rate. Come se non le avessimo mai pagate, eppure per anni ed anni non ne avevamo saltata neanche una. Imparai a muovermi a piedi fin dove potevo e purtroppo la meta abituale diventò l’ospedale, problemi che avevo da chissà quanti anni ma che erano stati trascurati perché non sembravano impattanti, diventarono insostenibili; si scoprì che erano di una gravità altissima e che occorrevano interventi chirurgici delicati per sperare, senza garanzie, di sopravvivere; mentre tutto intorno andava sempre più a rotoli.
Arrivò il giorno in cui la mamma, di rientro qui al villaggio per una piccola vacanza, portandomi a passeggiare sul lungomare, esordì con il classico «Dobbiamo parlare!».
Lo sai cosa vuol dire quando una donna dice al “suo” uomo «Dobbiamo parlare!»? Vuol dire che, per un motivo o un’altro (spesso, inaspettatamente, è “l’altro” ma lo capisci anni dopo), non sei più “suo”. In giro raccontavamo che ci eravamo lasciati di comune accordo, ma in realtà lei era molto, molto più d’accordo di me. A tenerci uniti son rimasti solo banche, avvocati, istituti di credito e loschi personaggi che minacciano per avere soldi che non ho modo di trovare, nulla di più.
E tu?
Tu… beh, la pillola ha funzionato, sempre; ed in attesa del momento giusto per farti nascere… non sei mai nata! Sei rimasta uno dei miei tanti sogni bruciati, uno dei miei rimorsi, da aggiungere alla catasta di rammarichi. Un elemento in meno a tentare di dare un senso a questa mia esistenza sbagliata.
Mi dispiace di non averti mai vista, mai baciata, mai stretta tra le mie braccia; ma mi consola non averti mai trascinata nel mio inferno. Almeno non me lo rinfaccerai e non mi odierai.
Mentre qui pian piano continua a bagnarsi tutto nonostante fuori non piova, mi resta una sola cosa da dirti, figlia mia: addio, Giulia.
23/08/2024
Commenti
Non credo al destino, son troppo razionale, però… non era il mio destino, né una figlia né una compagna per il mitologico "e vissero insieme felici e contenti".