Il principe di un regno molto vasto era vedovo, e amava molto il suo unico figlio, che aveva tre anni di vita.
Una notte, prima di addormentarsi, vide apparire nella sua sontuosa camera da letto, adorna di tutti gli oggetti più piacevoli alla vista e all’olfatto, un diavolo femminile nero come l’ebano.
La diavolessa gli disse che era invidiosa dell’amore che portava al figlio, pertanto avrebbe trasformato il bambino in un serpente.
Disperato il principe corse alla camera del bambino e nel minuscolo letto rosso trovò effettivamente un orribile serpente.
Terrorizzato uscì in fretta dalla camera, ma un pensiero, ancora più orribile di quella vista, lo paralizzò.
E se suo figlio avesse avuto bisogno di lui, del bacio della buonanotte, di una carezza, e si fosse sentito abbandonato dal padre? Se avesse notato il disgusto sul suo viso cosa avrebbe provato, il piccolino?
Una compassione infinita sorse allora nel suo cuore di padre, simile al sorgere della luna piena in una notte profonda, tornò nella stanza e baciò il serpente, facendosi forza e superando ogni orrore.
Con il passare dei giorni il principe si abituò alla vista del serpente, se ne prendeva cura con grande affetto e lo nutriva con i cibi più adatti.
Ma una notte la diavolessa tornò e gli fece capire che la sua invidia non era finita, e che per distogliere dal serpente tutto quell’amore avrebbe trasformato il figlio in una vecchia malata di lebbra.
Il principe entrò nella stanza e fu sopraffatto dal cattivo odore e dalle sensazioni sgradevoli provocate del viso devastato dalla lebbra. Ma poi pensò al cuoricino del suo bimbo, a quanto aveva bisogno, ora più che mai, dei suoi abbracci, e con le lacrime agli occhi, simili alla discesa di un fiume miracoloso in una terra deserta, abbracciò e baciò la lebbrosa.
Passarono molti giorni.
La diavolessa produsse mille altre trasformazioni, mettendo alla prova il cuore del principe, ma ogni volta il principe continuava a prendersi cura del figlio trasformato, senza alcun indugio, fermo come il monte Meru, impassibile come il Kailash percosso dai venti.
Venne il giorno di una grande festa religiosa in cui nel paese si danzava e si recitavano preghiere in onore della Madre Divina.
La Dea era stata innalzata in mezzo alla folla e il principe si affacciò alla finestra e si mise a pensare, contemplando lo spettacolo di tutti quei volti e di tutti quegli animali radunati sotto di lui. “Ecco”, rifletteva, “se anche mio figlio si trasformasse in uno qualsiasi di loro, o perfino in un albero o in quelle pietre illuminate dalla luna, o in un filo d’erba, invariato sarebbe il mio amore. Esso è diventato fermo,immutabile ”.
E con le lacrime agli occhi si sentì riempire di un amore infinito per tutti i membri di quella folla piena di sofferenze e di fatiche.
“Sono tutti miei figli”, sussurrò a se stesso.
E quell’amore divenne così intenso da cancellare ogni sua minima sofferenza, per sempre. Non vi era più spazio nella sua mente per il dolore, dato che ogni angolo era occupato da quel sentimento di amore incondizionato.
All’ improvviso sentì una presenza accanto a lui: era la diavolessa.
“Hai capito ora?” gli chiese lei con un sorriso che era, strano a dirsi, meraviglioso, come la musica di una veena celeste.
Lo stupore del principe germogliò nei suoi occhi: il volto nero della diavolessa non era affatto diverso da quello della statua della Madre Divina che campeggiava tra la gente.
Il principe si voltò e dopo un lungo sguardo le disse:
“Sì, Madre, ho capito. Ora sono come te”