Parole d’oppio, dal suono secco di dita che tracciano solchi sulla pelle, soffio di dolore e dolcezza nel brivido di quegli occhi incrociati che cercano una mano che brancoli verso una penna, senza motivo ma con tutte le ragioni del caso, e la nausea di chi al mattino si sveglia pieno di rimorsi.
Notte fonda, insondabile, avida nel toccarne il fondo con la punta del piede per darsi l’ennesima spinta verso l’alba, per non annegare, per tirare un disperato sospiro di sollievo, e tornare a sembrare il solito, patetico orsetto da mal di testa mattutino, con l’irraccontabile tempesta notturna ormai alle spalle, scomoda.
Astemio di tranquillità e solitudine, ubriaco, rigiro il cuscino zuppo di passato, quasi potessi ritornare bambino ed ignaro che al mondo non trovo uno spazio, coi gomiti consumati a furia di farmi largo tra ciò che mi ferisce e mi schifa, mi adagio sulla luce rossa di una lampada che sa bene di cosa ho bisogno, ma che mi ricorda, sadica, che non potrò mai averlo.