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ARGOMENTO: Misurando le parole: accenni di metrica …
Misurando le parole: accenni di metrica … 4 Giorni 19 Ore fa #1
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Misurando le parole: accenni di metrica da/per dilettanti nella Poesia italiana.
1ª puntata Buondì. Mi è stata offerta la possibilità di occuparmi di un tema specifico nel forum ed eccomi qui. Nulla di impegnativo, sarà la mia una presenza sporadica tra il tanto nulla di cui la vita mi sommerge quotidianamente, ma ogni tanto ci sarò con questi post. Premetto che sono solo un appassionato, non un esperto: la mia formazione in merito è da liceo scientifico di fine secolo scorso, dopo il mio fallimentare piano di studi ha seguito percorsi tecnico-scientifici, informatici, biomedici… insomma, nulla di letterario, ma a liceo mi dilettavo a scrivere qualche poesiuola. Da qualche anno ho ripreso il vizio, come sapete, ed ora, nell'intimità protetta dell'anonimato garantito da un nickname, i miei scarabocchi li pubblico sul web, in siti di appassionati di letteratura in generale e di poesie in particolare, non in qualità esclusivamente di lettori, ma anche vogliosi di comporre le proprie. Del resto, se volessimo solo leggerne, abbiamo tante antologie a disposizione da sfruttare, a partire da quelle scolastiche, giacché il nostro paese è sempre stato florido di creatività elegante, di stili raffinati, di capolavori emozionanti. Con il passare del tempo l'offerta è anche cresciuta a dismisura, anche se a parer mio qualitativamente è un po’ calata: non troviamo in giro dei novelli Dante, Cecco, Petrarca, Leopardi, ma semplicemente personcine come me che han voglia di esternare i propri pensierini rivestendoli di un abito simpatico, non in prosa (che richiede tutt'altre abilità che io non credo di avere) ma in “poesia”, o almeno in una forma che ai nostri stessi occhi può sembrare “poesia”. E qui arriva il primo inghippo: cosa vuol dire comporre una Poesia? È difficile per me da spiegare, del resto anche i veri esperti a volte bisticciano su cosa sia accettabilmente e universalmente considerabile Poesia; però quel “comporre” è un campanellino che ci suggerisce che non basta avere un racconto da narrare, un'emozione da comunicare, un'idea da esprimere; no, non basta, altrimenti ricadremmo in quei testi che facevamo alle scuole elementari quando la maestra ci assegnava come compito in classe o a casa di scrivere “pensierini liberi” o addirittura un “tema”. E noi scrivevamo, raccontavamo, spiegavamo, inventavamo… ma non venivano fuori Poesie, venivan fuori appunto pensierini o temi, che ci preoccupavamo di mettere sì in bella forma, con una sintassi corretta, parole giuste, esplicative e comprensibili, rispetto della grammatica e della punteggiatura perché quanto scrivevamo doveva essere comprensibile senza dubbi ed equivoci da chi lo andava a leggere. Ma era tutto lì: giusta ortografia delle parole, correttezza grammaticale, assemblaggio delle frasi con una logica rintracciabile ed analizzabile, coniugazione coerente dei verbi con quanto volevamo comunicare, punteggiatura che aiutasse il lettore a capire ritmi e pause del nostro discorso e quindi subordinazione di alcune parti delle frasi rispetto ad altre. Nella Poesia c'è anche qualcos'altro: le poesie hanno una forma, una struttura che porta a leggerle in un determinato modo, anzi a recitarle, con un ritmo ed una gestione delle pause dato non solo dalla punteggiatura opportuna, ma dall'interrompere il flusso della lettura con una pausa più importante che segna anche la base principale del ritmo con cui sgorga la nostra emozione grazie al mandare a capo ad un certo punto, ben preciso, le parole, infilandole in una nuova riga; queste varie righe in cui strutturiamo il nostro testo sono i versi, a loro volta raggruppati in strofe. È questo che caratterizza una Poesia: le strofe ed i singoli versi che veicolano le emozioni o i racconti dall'autore al lettore. L'intento di questi post è cercar di capire come si possono gestire i versi e le strofe, come e quando interrompere una frase mandando a capo le parole in una nuova riga che a sua volta possa diventare un nuovo verso. In soldoni, parleremo di metrica. Ma ne parleremo partendo dalle cose più banali, perché il freno più forte che ho visto in questi anni al tentativo di scrivere poesie, anche cercando sommariamente di seguire qualche struttura nota (le più diffuse: ottave, sonetti, terzine; poi han cominciato ad esser di moda schemi di provenienza straniera, come i limerick o peggio i tanka e gli haiku, alla cui base però ci sono concezioni delle vocali -esempio, la loro “lunghezza”- che in italiano non esistono; a differenza di quella orientale che si basa sulla durata delle singole vocali (in realtà nell'antichità lo facevamo anche noi, Omero, Virgilio, etc.), la poesia nostra si basa sul conteggio delle unità che assembliamo in un verso, le sillabe. E la maggior parte delle incertezze che vedo, nascono proprio da errori di conteggio. Quindi, prima ancora di capire QUANTE sillabe ci servono per fare un verso e QUANTI versi ci servono per fare una strofa, vedremo COME si contano le sillabe. E non ridete, perché è davvero la base onnipresente degli errori quando tentiamo di COMPORRE per esempio un sonetto. Quindi prima di vedere come scegliere le parole e quando e perché cercarne sinonimi, aggiungere particelle, fare elisioni, invertire soggetti complementi verbi, prima di capire dove diavolo dobbiamo fare in modo che si piazzino gli accenti delle parole che scriveremo, cominciamo dall'imparare a contare. Ma sì, lo so che la divisione in sillabe l'avete imparata in seconda elementare, ci mancherebbe. Ma nella poesia non è esattamente la stessa cosa, vediamo qualche esempio con versi tratti dalla Divina Commedia di Dante, che sappiamo tutti quanti essere un'opera poeticamente perfetta, tutta (ed è davvero lunga) di precisi endecasillabi, tutti canonici, riuniti a 3 a 3 nelle cosiddette (non a caso ovviamente) terzine dantesche. Cominciamo dal primo verso della prima terzina del primo canto della prima cantica, sostanzialmente l'introduzione all'Inferno: Nel mezzo del cammin di nostra vita Dividiamo in sillabe il testo; questo è facile, su, spolveriamo i nostri ricordi della seconda elementare ed abbiamo: 1 Nel 2 mez 3 zo 4 del 5 cam 6 min 7 di 8 no 9 stra 10 vi 11 ta in tutto sono 11 sillabe; sarà per questo che si chiama endecasillabo? Beh, per ora facciam finta di sì, solo vi faccio notare (perché sia importante lo vedremo più avanti, non oggi) che la 6ª e la 10ª sillaba sono accentate (dalle parole “cammìn” per “cammìno” e “vìta”), cosa ce ne cale lo capiremo un'altra volta. E adesso complichiamoci la vita con il secondo verso (poi per oggi basta, che ho un polso ancora dolorante nonostante la fisioterapia): Mi ritrovai per una selva oscura, dividiamo in sillabe, ben benino come la grammatica ci insegna: 1 Mi 2 ri 3 tro 4 a 5 i 6 per 7 u 8 na 9 sel 10 va 11 o 12 scu 13 ra in tutto 13 silla… alt… momento… 13… ma… non dovevano essere 11? Possibile che Dante abbia sbagliato il 2° verso della Divina Commedia ed in un millennio nessuno se ne sia accorto? Ovviamente no. Quindi stiamo sbagliando a contare? Ma no, le sillabe quelle sono, le abbiamo imparate in 1ª e 2ª elementare, ne abbiamo tredici. Allora forse che l'endecasillabo non sia sempre di 11 sillabe grammaticali? Forse che le sillabe in Poesia si contano in modo diverso rispetto a quando in grammatica facciamo una divisione in sillabe? Esatto! Il secondo verso della Divina Commedia, nella sillabazione poetica, è 1 Mi 2 ri 3 tro 4 vai 5 per 6 u 7 na 8 sel 9 vao 10 scu 11 ra e, en passant, vi faccio notare che di nuovo la 6ª e la 10ª sillaba sono accentate (dalle parole “ùna” e “oscùra”)... coincidenze? Io non credo. Ad ogni modo, perché in Poesia e in grammatica i conteggi differiscono? Ci siamo imbattuti, in questo 2° verso, in due “complicazioni” carinissime della mètrica, un dittongo ed una sinalefe, la prossima volta vedremo che robe sono. |
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Ultima modifica: 4 Giorni 19 Ore fa da ioffa. Motivo: Evidenziazione accenti nella sillabazione di esempio
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Ringraziano per il messaggio: Admin-Enzo*, Simone*
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Misurando le parole: accenni di metrica … 4 Giorni 19 Ore fa #2
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Buongiorno Ioffa.
Spiegazione ed esempi perfetti. Grazie per il lavoro svolto. |
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Cordiali saluti, Admin
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Misurando le parole: accenni di metrica … 3 Giorni 14 Ore fa #3
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Misurando le parole: accenni di metrica da/per dilettanti nella Poesia italiana.
2ª puntata Rieccoci. Eravamo rimasti che con il secondo verso della divina commedia: Mi ritrovai per una selva oscura, la divisione in sillabe all'improvviso si complica e non segue più la grammatica di base della 1ª e della 2ª elementare, dando invece come risultato: 1 Mi 2 ri 3 tro 4 vai 5 per 6 u 7 na 8 sel 9 vao 10 scu 11 ra Possiamo intuire dalla 9ª sillaba che più parole si fondono insieme, ma anche così quella che stiamo contando come 4ª e quella che stiamo contando come 9ª dovrebbero essere in tutto 4 sillabe, cioè 4 va 4.bis i 9 va 9.bis o Praticamente la divisione in sillabe dal punto di vista poetico fa qualcosa di anomalo quando ci sono 2 (o anche più) vocali affiancate, qualcosa che dipende da quali sono queste vocali e da come sono eventualmente accentate (“complicazione” che vedremo poi nel 3° verso). Sostanzialmente questi incontri di vocali possono formare un “dittongo” oppure al contrario uno “iato” (poi siccome alle eccezioni ci sono eccezioni di eccezioni, c'è qualche combinazione jolly che possiamo giocarci a scelta come dittongo o iato, vedremo, così come abbiamo una scappatoia per costringere il lettore a recitare un dittongo come fosse uno iato). Cos'è un dittongo, cos'è uno iato e come si contano nella sillabazione? Premessa importante: vado a “sentimento”, quindi posso sbagliarmi, ma dopo vi darò un sorprendente riferimento per togliersi al volo i dubbi (almeno è quello che uso io quando vado in crisi stando al PC e non volendo andare a cercare libri nel corridoio). Cominciamo dallo iato: sono due vocali che per loro natura o per accentazione si leggono separatamente, formando due sillabe; questo «per loro natura» ci porta ad introdurre un altro concetto: vocali forti e deboli; in italiano si dicono “forti” le vocali “a”, “e” ed “o”, mentre si dicono “deboli” la “i” e la “u”. Quindi in caso di incontro di due vocali, possiamo avere varie combinazioni che porteranno a leggerle come “iato” o come “dittongo”; per esempio se tutte e due le vocali sono forti a prescindere dalla posizione dell’accento fanno iato: paesano -» pa-e-sa-no -» 4 sillabe paese -» pa-é-se -» 3 sillabe Galilea -» ga-li-lè-a -» 4 sillabe Se invece le due vocali sono deboli, avremo dittongo: lui -» lùi -» 1 sillaba altrui -» al-trùi -» 2 sillabe più -» più -» 1 sillaba liuto -» liù-to -» 2 sillabe fiutare -» fiu-tà-re -» 3 sillabe Se invece una vocale è forte e l’altra è debole, ci complichiamo la vita perché dipenderà da quale delle due ha l’accento, sempre che una delle due sia accentata: ritrovai -» ri-tro-vài -» accentata la prima vocale forte, il nostro caso del 2° verso, dittongo -» 3 sillabe Europa -» Eu-rò-pa -» nessuna delle due è accentata, la prima è forte, dittongo -» 3 sillabe pianoforte -» pia-no-fòr-te -» nessuna delle due è accentata, la prima è debole, dittongo -» 4 sillabe piano -» pià-no -» forte ed accentata la seconda, la prima è debole, dittongo -» 2 sillabe … più ci si addentra e più si complica, quindi, cerchiamo un sistema più semplice: pronunciamo (anche solo mentalmente) la parola e facciamo caso se le due vocali ci escono fuse insieme; in tal caso, banalmente, è un dittongo e quindi contano insieme per una sola sillaba poeticamente; se invece nel pronunciarla interrompiamo il suono tra le due vocali, è uno iato e contano una sillaba ciascuna, due sillabe (essendo due che pronunciamo separatamente); se invece titubiamo tra le due scelte, beh, allora io invece di cercare di ricordarmi regole, sottoregole ed eccezioni, apro al volo una di queste due pagine e cerco nell’elenco la parola o una parola simile o una che abbia le stesse vocali con gli accenti nelle stesse posizioni o senza accenti (ci vuole 1 secondo con il ctrl+F) it.wikipedia.org/wiki/Iato it.wikipedia.org/wiki/Dittongo da cui vedo che “poeta” è iato (po-è-ta, 3 sillabe) mentre “Poesia” ha prima un dittongo per “oe” e poi uno iato in “ia” (Poe-sì-a, 3 sillabe), ma… e se no era troppo facile… Poesia può diventare a seconda delle necessità di 4 o di 2 sillabe: falra di 4 è facilissimo, basta usare una delle armi dei veri poeti, la “dieresi”, cioè quei due puntini sulla vocale che significano proprio “questa vocale me la pronunci a parte, separata per i fatti suoi”, per cui se c’è scritto Poësia noi leggeremo le 4 sillabe Po-ë-sì-a! Se invece è scritta normalmente e sta alla fine del verso, sono 3: Poe-sì-a (e se vogliamo rimarla richiederà un’altra parola che finisca ancora in ì-a, ma le rime sono una cosa più semplice che vedremo dopo, dove pure leggo spesso qualche errore abnorme), se invece Poesia si trova dentro il verso, può capitare di leggerla in2 sillabe invece delle 3 che richiederebbe, cioè “Poe-sìa” invece di “Poe-sì-a” se questo torna utile al ritmo del verso stesso, ma qui purtroppo non abbiamo modo di indicarlo, dobbiamo contare sulla sensibilità del lettore che la reciterà nel modo giusto per mantenere il ritmo che abbiamo voluto imprimere noi scrivendo quel verso (questo è il motivo per cui ad esempio io nel presentare i miei scarabocchi talvolta li introduco dichiarandone il ritmo, cioè suggerendo al lettore dove aspettarsi l’accento o dove eventualmente trasformare uno iato in dittongo; per esempio È forse la Poesia sola compagna che di mia compagnia giammai si lagna se li porgo come “endecasillabi canonici a maiore” e sono versi “piani” (anche su questo torneremo dopo) perché finiscono in “-àgna”, andranno recitati scandendo le 11 sillabe così: È-fòr-se-la-Poe-sìa-sò-la-com-pà-gna che-di-mìa-com-pa-gnìa-giam-mài-si-là-gna quei tre iati con “ìa” che andrebbero letti stendendo comode e larghe le “i” deboli accentate e le “a” forti su due sillabe separate, finisco per leggerli stringendoli in dittonghi “ia” da una sillaba ciascuno; invece La Poesia riempie le giornate con emozioni dolci sospirate (scusate la banalità di questi versi, ma li sto scrivendo di corsa senza averne preparati solo per aggiungere esempi concreti) porti sempre come “endecasillabi canonici a maiore”, sempre versi “piani” perché finiscono in “à-te”, andranno recitati scandendo le 11 sillabe così: La-Po-e-sì-a rièm-pie-le-gior-na-te con-e-mo-ziò-ni-dòl-ci-so-spi-rà-te quel Poesia lo sto leggendo in 4 sillabe perché tante me ne servono per arrivare a quota 11 (facendo cadere, ma anche su questo torneremo più avanti, accenti nella 4ª, nella 6ª e nella 10ª sillaba). Nulla ci sta indicando graficamente che Poesia va stesa su 4 sillabe, purtroppo dobbiamo puntare tutto solo sulla sensibilità di chi ci sta leggendo e questo è possibile se rispettiamo degli schemi comuni. Tutti i veri poeti, nella stesura dei loro versi, rispettano alcuni schemi, anche quando compongono in modalità “a versi liberi”, i loro versi in realtà un proprio schema che gli consenta di raggiungerci ed imprimersi ce l’hanno. Comunque, ci sarebbe un modo balordo di indicare graficamente che il finale della parola Poesia non lo voglio con un “ìa” veloce a dittongo ma con un “ì-a” prolungato a iato, ed è di metterci una dieresi, che però è più ovvia e normale se usata per allungare in iato “o-e” quel dittongo “oe”: La Poësïa riempie le giornate Saran brutti come segni, ma li possiamo sfruttare per suggerire al lettore come vogliamo pronunciata la Poesia. Ma torniamo un attimo a Dante, a quel 2° verso: avevamo detto 1 Mi 2 ri 3 tro 4 vai 5 per 6 u 7 na 8 sel 9 vao 10 scu 11 ra Ok, la 4ª sillaba abbiamo visto che “ritrovai” quel “ài” di due vocali, la prima forte accentata e la seconda debole, sono rigorosamente dittongo e quindi unica sillaba; ma la 9ª sillaba, quel “vao”, come diamine fa ad essere una sola sillaba se son pezzi di due distinte parole, “selva” ed “oscura”? Mi fa male il polso, ci torniamo alla prossima puntata |
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Ringraziano per il messaggio: Admin-Enzo*, Lilith50
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Misurando le parole: accenni di metrica … 14 Ore 7 Minuti fa #4
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Sto leggendo tutto con molto interesse. Aspetto la terza puntata. È sempre utile un ripasso, specie se il prof è accreditato. Ho conservato le prime due puntate nei miei file. Spero non ti dispiaccia. Ciao!
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Misurando le parole: accenni di metrica … 13 Ore 40 Minuti fa #5
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Certo che non mi dispiace! Le vado scrivendo perché pssano tornare utili a qualcuno; stasera allora pubblicherò la 3ª puntata
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Misurando le parole: accenni di metrica … 7 Ore 4 Minuti fa #6
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Misurando le parole: accenni di metrica da/per dilettanti nella Poesia italiana.
3ª puntata Rieccoci. Restiamo ancora al secondo verso della divina commedia: Mi ritrovai per una selva oscura, avevamo detto 1 Mi 2 ri 3 tro 4 vài 5 per 6 ù 7 na 8 sel 9 vao 10 scù 11 ra Ok, la 4ª sillaba abbiamo visto che “ritrovai” quel “ài” di due vocali, la prima forte accentata e la seconda debole, sono rigorosamente dittongo e quindi unica sillaba; ma anche la 9ª sillaba, quel “vao”, si comporta come se la vocale fosse una sola: cioè, se due parole affiancate hanno come confine due vocali, quindi la prima finisce con una vocale e la seconda inizia con una vocale, le attacchiamo come se fosse una sola parola e quel pezzo che contiene le due vocali si comporta di conseguenza; nello specifico abbiamo una “A” ed una “O”, quindi due vocali “forti”, ma nessuna delle due è accentata, infatti “sélva” l’accento ce l’ha sulla “E” mentre “oscùra” ce l’ha sulla “U”. Cosa fa una coppia di vocali forti senza nessun accento? Fa un dittongo, pronunciandosi tutte e due d’un fiato e contando di conseguenza come una sola sillaba. Il dittongo che nasce al confine tra due parole si chiama “sinalefe”; il suo opposto è la “dialefe”, che sarebbe quando le due vocali confinanti si comportano come uno iato. Attenzione, torniamo un attimo su questa osservazione: “grammaticalmente” avremmo uno iato quando due vocali forti si affiancano senza accenti, ma poeticamente il comportamento è da dittongo, fanno una sinalefe tra loro. Per i pignoli, più che “dittongo” il gruppo “ao” senza accenti sarebbe un “falso iato”, ma appunto in Poesia i falsi iati si comportano pari pari come i dittonghi. Vogliamo vedere subito invece un esempio di dialefe? Presto fatto, ci basta approdare al 3° verso della Divina Commedia, in cui Dante scrive: Ché la diritta via era smarrita Sillabandola avremo: Ché-la-di-rit-ta-vìa-e-ra-smar-rì-ta Contiamo: 1 Ché 2 la 3 di 4 rit 5 ta 6 vìa 7 e 8 ra 9 smar 10 rì 11 ta Notiamo che anche questa volta la 6ª e la 10ª sillaba sono accentate… vorrà pur dire qualcosa… ma ci arriveremo più avanti. Adesso invece chiediamoci perché “via” ed “era” non si fondono, cioè perché abbiamo una dialefe e non una sinalefe. Che ci sia un limite sul numero di vocali e 3 (“iae”) siano troppe? No, non è quello il problema (butto un esempio del cavolo: “Oggi il mio amore cerca il tuo ascolto”, m’è venuta così, ma tanto lei è sorda e lontana, fa niente, ma è un endecasillabo, dividendosi in “Og-giil-mioa-mò-re-cèr-cail-tuoa-scòl-to” vi ho piazzato in un verso 4 sinalefi, 2 da 2 vocali ciascuna e 2 da 3 vocali ciascuna). Ciò che nel 3° verso della Divina Commedia impedisce la sinalefe è l’accento sulla vocale iniziale della parola che vorremmo unire: “èra” comincia con una E sulla quale cade l’accento di quella parola e proprio quell’accento impedisce di fare una sinalefe; quindi, quando in due parole che si incontrano la seconda comincia per vocale MA quella vocale è accentata, non la possiamo fondere alla vocale finale della prima parola, restano separate, in dialefe, quindi “vìa” si conta per una sillaba ed “èra” dà altre due sillabe, distinte da quella di “vìa”. Sembra complicato, ma non lo è, inoltre c’è molta elasticità, possiamo forzare le regole sugli accoppiamenti tra vocali forti e deboli con e senza accenti per adattare a nostro piacere il ritmo di un verso, ma senza esagerare, la lettura con la “licenza” che eventualmente ci stiamo prendendo deve suonare comunque piacevole se non del tutto naturale. Il problema è che chi ci leggerà non può sapere come noi quel verso lo declamiamo nella nostra testa prima di scriverlo; quindi dobbiamo cercare di farlo percepire in qualche modo; se un dittongo vogliamo che venga letto come se fosse uno iato, ci basta mettere la dieresi (i due puntini in orizzontale sopra) su una delle vocali, così mentre in Poesia la divisione sarebbe Poe-sìa, se scriviamo Poësia dovremo leggerlo Po-e-sìa, con una sillaba in più, quella ë che si mantiene ben staccata dal “Po”; per suggerire una dialefe al posto di una sinalefe, possiamo giocare con la punteggiatura, per esempio… i puntini di sospensione, oppure una virgola. O magari un punto, ancora più netto (o magari parentesi - financo il trattino possiamo arruolare per suggerire uno stacco). Non sempre però il senso di quel che stiamo scrivendo ci consente di inframezzare con la punteggiatura. Lì dobbiamo fare affidamento sulla sensibilità di chi ci legge, che può arrivare a camire quali vocali fondere e quali distinguere, quali accentare e quali no, se sa che stiamo sfruttando uno schema preciso ed anche lui quello schema lo conosce per cui sa quante sillabe deve aspettarsi recitando e dove debbono stare gli accenti. Quante volte m’è venuta fuori la parola accento/accenti? Perché sono così importanti? E poi, finora abbiamo dato per scontato che l’endecasillabo è formato da 11 sillabe, conteggiandole con le varie regole della Poesia. Ma è davvero sempre così? Nella Divina Commedia tutti gli endecasillabi sono fatti da 11 sillabe (sempre valutando opportunamente dittonghi/iati e sinalefi/dialefi) ma… sospresona: non è il numero totale di sillabe a dirci che quel verso è un endecasillabo (o un settenario, un ottonario, un quinario…). Allora cos’è? Cosa mi porta a dire che “Nel mezzo del cammìn di nostra vìta” è un endecasillabo? Lo vedremo alla prossima puntata, che ora il cinghiale ha fame. |
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