Conquisterò quel cuore
parlandole d'amore,
raccoglierò una rosa
chiedendole la mano.
Luci di notte accese
mostrano la via
che porta al paradiso
del dolce suo sorriso.
Prendimi il cuore amore
sollazzami di baci,
fai si che la fortuna
si fermi alla mia porta.
Vorrei parlar d'amore
per mille notti ancora
senza mai stancare
con discorsi sempre uguali
far si che il mio tesoro
ci creda per davvero,
perché questo cuore impavido
è preso dal suo amore.
Qui dentro gli occhi miei
riflette il suo splendore
ho in mente solo lei
ma pare non m'ascolti
sbatto la testa più volte
è un muro di cemento
io col cuore ci sto parlando tanto
ci perdo notti intere.
A farne una ragione
non giungendo a conclusione.
Non so più cosa fare
vorrei capisse
che sono disperato
mi son rivolto anche alle stelle
ma loro han voltato le spalle
con fare sconsolato
ho chiesto al sole
mi ha dato una speranza
adesso non lo nego
ci credo davvero.
Immersa in un lago trasparente senza suoni
nella mia stanza infinita senza mura
emergono pensieri come bolle d'aria
per poi esplodere in milioni di goccioline
e collassare senza resa sulle mie emozioni
scoppiano le parole come fuochi d'artificio
col naso all'insù mi godo lo spettacolo
in una sequenza di colori rapiti dal dipinto di Dio
che si infrangono muti sul cuore bianco
di un bimbo appena nato che promette amore.
Colgo il fiore della parola e l'appoggio dolcemente al cuore
nel castello di un'emozione salgo sul torrione del verso
spira il vento freddo dello sguardo clandestino di chi legge
una poesia che si accoglie con l'animo affamato di emozioni
in punta di piedi mi volto e indico la direzione con il volo della penna
in un cielo di poeti leggeri come gabbiani su un mare di versi
sognatori d'altri tempi custodiscono l'illusione della redenzione
che l'amore per la poesia possa condurre alla terra promessa
naufraghi in un mondo dove si sogna di morire in un verso.
Ripetevamo: siam nel duemila!
anni fa, che col passato misuravam il presente.
Ma quando vissuti abbiam, dodici anni in fila
continuiamo a dirlo ché non cambiò proprio niente.
Un anno ancor, trascorso è tra alti e bassi
e uno nuovo ne arriva con la benedizione del Signor.
Per il vecchio ci si sente ancora dai fatti delusi,
il nuovo già lo vediam per certi aspetti miglior.
L’auspicio caratteristica è di noi brava gente
che il passato cerchiam di toglierci dalla mente,
anche se gli eventi trascorsi nel vecchio anno
abbian procurato ad ognuno un ingente danno.
Il duemilaundici, finito, sta partendo
per lasciare il suo posto a un tempo che, quando
giunger si scorge, festeggiar ci vede coi botti
quasi come per uccidere spettri ostili,
accogliendo, gioiosi, un ospite di riguardo
che, come noi, felice d’esser, si presenta come Nuovo Anno!
il suo profumo intenso
dava amore
era una gioia per la gente del viale
maestoso...
Dalle foglie colorate
che illuminavano la via
pareva volesse parlare quel giorno
come se avesse capito,
non era più moderno
bisognava cambiare
si cominciò a segare
pianse l'albero bello
si rivolse al sole
ma l'uomo non capì
distrusse...
Morì in maniera disperata
era l'albero bello
una leggenda...
Che porto ancora nel cuore.
senza renderti conto che la risposta è morta
hai smesso di sognare tuo malgrado
sei ridicolo e scontato nel tuo piangerti addosso
raccogli i pensieri rimasti e accartocciali
guarda che uomo sei tra lavoro e illusioni
non hai nulla se non la spesa del supermercato
anno nuovo vita nuova ma fammi il piacere
se non fossi ridicolo saresti comico
buttati via su quel divano tra film e internet
respira l'aria stantia di questa stanza
dichiara la tua morte vile uomo
smetti di capire e di pensare
parla col tuo cuore se ce la fai
e cerca di amare.
nel deserto
delle parole
che racchiudono passati
presenti
sulla via del perdono
del frastuono
dei passi incerti
nei pentimenti
di strade sbagliate
percorse a senso sbagliato
di un fiume in piena
assassina
che lacera dentro
tanto da far male
e voler soccorrere
spegnere il fuoco
che alimenta il tuo dolore
la tua delusione
Oh tu che al mattino al sorgere del sole
t’alzi di buon’ora senza contar le ore,
il giorno è fatto per te,
da quando ti svegli e bevi latte e caffè.
Il cielo è azzurro e bello!
La sera quando vedi carosello
batti le manine e dici “quant’è bello!”
T’addormenti poi, di sera
facendo sorridere mamma e papà,
dando loro la felicità più vera
e sognando il domani che verrà.
(nota: questa poesia la scrissi all’età di 11 anni e la dedicai al mio fratello minore Alessandro che all’epoca aveva 2 anni. Un bellissimo ricordo!)
Le quattro vene scorrono come il Volga
ma non lo si capisce subito
all’inizio si notano solo gli occhi,
la mia condanna,
e gli effetti che mi distraggono,
quelli del vento.
Le quattro vene si gonfiano di sangue
e scendono alle mani,
un po’ sempre,
ma soprattutto quando piove
e quando fa freddo,
quando sono solo,
quando guardo e non mi guardano.
Poi c’e l’arteria dell’amarezza,
e i capillari della paranoia,
ma loro defluiscono un po’ ovunque
e immobilizzano tutti i pensieri,
e gelano le mie vene di genio,
talvolta su di un rettangolo di canapa
talvolta su un poligono di carta
talvolta sull’ovale del mio volto
quando gli occhi si fanno più grandi,
nel tentativo fallito di farsi più piccoli.
Arriverà la neve
i gigli andranno
a dormire
e si risveglieranno
in un nuovo mattino
a cantare
l'aurora
che aspetterà
il conto salato
da pagare
tra segni
vistosi
accompagnati
alla porta
per accedere
ad una speranza
in delizie positive
ammirando il cortile
del divenire
delle calde parole
raffreddate dalla brina
nel riarso di intimo
momento
del lascivo scoglio
superato
Dipingo col pensiero giorni di follia
per studiare l'incognita perplessa
l'ovvietà della vita rende sterili
si desidera annullare limiti d'invenzione
apro il sipario al teatro delle stranezze
e rido fino al traguardo del sogno
lì mi aspetta il drago della fantasia
e brucio banali disegni di un destino
lasciato agire indisturbato fino al finire
di un viaggio che mi vede tornare
in camere affollate di fantasmi
nella ricerca inutile di qualcuno
che mi parli di te.